Tra i “Racconti” di Cechov
Si chiude l’intensa rassegna romana Primavera Argot: fino al 7 maggio in scena l’inedito sguardo “Senza trama e senza finale” di Macelleria ETTORE per un viaggio nella malinconica poetica linguistica ed esistenziale del drammaturgo russo.
Un volo d’angelo delicato, fugace. Un viaggio sintetico che penetra con leggerezza la pungente sensibilità impressionista con la quale Cechov analizza la realtà: è questa la sensazione che la compagnia Macelleria ETTORE trasmette con Senza trama e senza fine, ultimo spettacolo della rassegna Primavera Argot e prima parte del progetto triennale “CantiereCECHOV” che esplora i Racconti per intessere una personale ricerca tra le parole non dette, le emozioni velate e le relazioni mancate, che caratterizzano la produzione stilisticamente, tematicamente e semanticamente contaminata dello scrittore russo.
Una drammaturgia originale (firmata, come la regia, da Carmen Giordano, fondatrice nel 2008 del gruppo artistico), proposto in prima nazionale al Festival Inequilibrio 2015 di Castiglioncello, che imprime con personalità lo sguardo cechoviano su un’umanità silenziosamente ossessionata dai cumuli di banalità quotidiane, dalla rassegnazione alla vita abitudinaria, umile e ritirata, dal frustrante torpore della debolezza esistenziale. Un’umanità annoiata e sbadigliante, proprio come quella delle due donne (Claudia de Candia e Maura Pettorruso) e due uomini (Angelo Romagnoli e Stefano Pietro Detassis) che attendono gli spettatori nella sala romana: distesi nell’ozio su un tappeto erboso, appoggiati a un ceppo di legno, seduti su un divanetto o ciondolanti accanto a una sedia d’epoca, fanno pigro eco a un’eleganza borghese antica, pacata e atrofizzata nelle rigidità convenzionali.
In questo spazio raffinatamente spartano (di Maria Paola Di Francesco), solcato da intensi giochi di luci e ombre (a opera di Alice Colla), si susseguono brevi racconti, sottili spasmi di storie che, come fulminee ritmicità jazz, s’intrecciano tra loro, si disperdono le une nelle altre, lasciandosi singolarmente orfane di trama e di fine – appunto – per rendersi frammenti di un’unica e metamorfica creatura scenica che vive nell’attenta compresenza degli attori, sciolta nel loro legame sospeso in una temporalità eterna di sguardi, di movimenti, di sospiri.
Potremmo definirlo un “pointillisme teatrale” che, osservato da vicino, è preciso accumulo di numerosi personaggi e dinamiche complementari; ammirato da maggior distanza, è graduale somma di particolari ricordi che disegnano, poco per volta le psicologie e le memorie universali dei quattro protagonisti. Ricordi di Dusecka, de Il violino di Ritshild, di Dell’amore, di La signora col cagnolino, di Ariadna, per citarne alcuni, che ci accompagnano tra la femminilità adolescenziale, ora timida e fanciullesca, ora provocante e maliziosa (de Candia), e la composta razionalità mista a istintiva passionalità dell’età adulta (Pettorruso); tra il giovane e dirompente imbarazzo interrotto da strozzata spavalderia (Detassis), e la drammatica e umoristica devozione coniugale dell’uomo maturo (Romagnoli). Mentre l’impronta registica della Giordano sfiora e sospinge le quattro matrioske di carne senza nome in un percorso di crescita, rendendole rappresentanti di un’umanità mossa da una costante flebile irrequietudine di liberazione, di distacco da quella stretta di noia, di solitudine, di piatta mediocrità, verso il miraggio del cambiamento.
Nicole Jallin
Teatro Argot Studio
via Natale del Grande, 27, Roma
contatti: 06 589 8111 – www.teatroargotstudio.com
orari: da martedì a giovedì 21:00