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La tragicommedia che Botho Strauss scrisse per Peter Stein nel 1983 arriva, per il debutto italiano, al Teatro Argentina di Roma dove sarà in scena fino al 31 maggio.

 Foto di Serafino Amato

Foto di Serafino Amato

A trent’anni dalla sua prima rappresentazione alla Schaubühne am Lehniner Platz con Bruno Ganz e Jutta Lampe, Der Park  (Il Parco), opera scritta da Botho Strauss appositamente per la regia di Peter Stein, è finalmente in scena al Teatro Argentina dal 5 al 31 maggio (produzione del Teatro di Roma), dove debutta nella versione italiana di Roberto Menin.
Al centro dell’azione, ambientata in un parco della Berlino del 1983, sono il re e la regina delle fate, rispettivamente Oberon (un inquietante e camaleontico Paolo Graziosi) e Titania (una magnetica Maddalena Crippa) che sognano di ricondurre alla genuinità dei sentimenti e al sanguigno della passione erotica, un’umanità anemica, frastornata dalla tecnologia, isterilita nella bramosia di successo ad ogni costo e ripiegata nella solitudine.
Ogni loro tentativo verrà frustrato e diverranno loro stessi vittime: il sipario si chiude su Titania, divenuta signora da salotto che festeggia le nozze d’argento con solo cinque dei numerosi invitati, sotto gli occhi innamorati del figlio Minotauro (Alessandro Averone) e su Oberon, ridotto ad un grigio perito informatico muto ed ormai inespressivo, sullo sfondo della scena.
Un’opera in due atti, incandescente e profetica, che – come spiega Stein nelle note di regia – racconta con crudezza e disincanto «il degenerare della sessualità a pura merce, o a puro gioco fisico di forza, la ricaduta in comportamenti che direi primitivi, come il razzismo e l’utilizzo della religione come arma politica; la perdita di memoria, il disorientamento delle nuove generazioni, la paura della crisi e della propria fine, la commercializzazione dell’arte e tante altre cose che sono esattamente il mondo di oggi».
Un’opera titanica, enciclopedica, variopinta, sinfonica, “ad alta entropia”: in quattro ore di spettacolo, due atti e più di 30 quadri, sembra voler risucchiare lo spettatore nel caleidoscopio della vita; sul palco si avvicendano 18 interpreti di tutte le età (tra cui due bambini), in una miscela di colori (con prevalenza assoluta del verde fluorescente), di suoni (cinguettio di uccelli, frinire di cicale, rumori della strada, passando per il valzer di Johann Strauss, la marcia funebre di Chopin, il rock, il jazz e le composizioni originali di Massimiliano Gagliardi ispirate al Sogno di Bartholdy Mendelsshon), di citazioni (con rimandi all’Oberon di Carl Maria Von Weber), di registri linguistici (dai toni alti alla banalità del parlato), di idiomi (italiano frammisto a tedesco e inglese) e gestualità, quest’ultima particolarmente accentuata in Titania.

 Foto di Serafino Amato

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È Titania, in fondo, la vera protagonista della tragicommedia, personaggio in continua metamorfosi: da divinità incurante dei dettami moralistici di Oberon, si fa dama robotica e poi una focosa e ricalcitrante mucca Parsifae e, ancora, femme fatale che, denudatasi completamente dall’alto di una piattaforma, si appella all’ardore maschile ma trova solo viltà.
La girandola di colori e invenzioni (suggestiva quella della donna albero) e le scenografie magiche e misteriose di Ferdinand Woegerbauer – quali l’installazione mobile dell’atelier di Cyprian (un intenso Mauro Avogadro) – vengono interrotte da spaccati di vita quotidiana ben resi dal menage à trois tra Helen (Pia Lanciotti), Georg (Graziano Piazza) e Wolf (Gianluigi Fogacci); dal personaggio di Helma (Silvia Pernarella) che tenta disperatamente ma invano di riconquistare il marito rivolgendosi a Cyprian, l’artista che crea amuleti capaci di provocare pulsioni sessuali; dalla punk (Arianna Di Stefano), flâneur delle strade dalla voce gracchiante e rauca con i suoi tre compagni ora violenti ora intorpiditi; dalla scena del crudo omicidio di Cyprian, preso a pietrate dall’uomo che amava.
È questa l’umanità contemporanea che ci restituiscono Peter Stein e Botho Strauss: confusa, impigrita, chiusa in un salotto domestico, refrattaria ad ogni slancio vitale.
Cosa resta, allora, in Der Park del Sogno di Shakespeare? Il rifiuto di un incantesimo.

Elvira Sessa

Teatro Argentina
Largo di Torre Argentina, 52 – Roma
Tel. 06 684 00 03 11 / 14 – http://www.teatrodiroma.net/
orari spettacolo: martedì, mercoledì e sabato ore 19:00; giovedì e domenica ore 17:00; venerdì ore 20:00 – lunedì riposo

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