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Il regista cileno dirige la tragedia di August Strindberg con protagonisti Massimiliano Gallo e Giovanna Di Rauso andati in scena al Teatro San Ferdinando, il 20 e 21 giugno, nell’anticipo di stagione 2015-2016 del Teatro Mercadante di Napoli. 

Foto di Marco Ghidelli

Foto di Marco Ghidelli

Il sipario si dischiude su una musica assordante e sulla visione di una ragazzetta in shorts e anfibi che balla convulsamente. Si muove come un’ossessa la signorina Giulia (Giovanna Di Rauso) sotto gli occhi indiscreti degli impietriti campesinos che la circondano, simbolicamente abbigliati con parrucche dai lunghi capelli biondi, forse a ricordare l’origine nordica di August Strindberg. Lui, l’autore della tragedia, scritta nel 1888, e portata in scena dal regista cileno Cristián Plana in questo anticipo di stagione del Teatro Nazionale di Napoli (nel cui cartellone ritornerà dal 13 al 31 gennaio 2016), aveva pensato ad una cucina, come ambiente unico in cui accadeva il dramma. Sul palco invece è montata un’enorme scatola di ferro, un garage, un sottoscala, quasi un bunker, ed è questo il luogo in cui si svolge la storia, la sala da ballo della festa di San Giovanni, alla quale ha preso parte la volubile ed aristocratica Giulia, mischiandosi ai suoi servitori. Quando la musica cessa la giovane resta da sola in compagnia di Jean (Massimiliano Gallo). Se la scena e i costumi contemporanei sembrano suggerire, all’apparenza, che si tratti dell’autista di una viziata e capricciosa figlia di papà, il testo resta sostanzialmente fedele nel descrivere i ruoli: Jean è il lacchè del conte e Giulia è la figlia del nobile. La rivisitazione del testo avviene, invece, per quanto riguarda l’entrata in scena dei personaggi, il taglio di alcuni dialoghi e l’aver affidato, talvolta, alla voce di Jean le parole di Giulia. Ma questo non è bastato perché l’adattamento, operato dallo stesso regista e da Alessandra Guerzoni, restituisse credibilità e una verità solida tra ciò che si vede e ciò che si sente. Se tradurre, non intendendo solo in un’altra lingua, ma in visioni e con la lente della contemporaneità, significa anche un po’ tradire, il tradimento dev’esser portato fino in fondo, facendo attenzione a non snaturare l’essenza della scrittura, affinché non si risolva in un mero esercizio formale. Ecco perché il gioco di seduzione tra l’uomo e la ragazza, durato troppo poco, non giustifica la scena forte dell’amplesso che si consuma sotto un continuo battere di colpi, a simulare i colpi dell’atto sessuale. E neanche  il ritardato ingresso di Cristina (Autilia Ranieri), la cuoca e fidanzata di Jean, sembra esser funzionale a delineare la morale della donna, che avrebbe dovuto creare profondi contrasti con gli altri protagonisti e invece è ridotta ad una religiosità puramente di facciata.

Foto di Marco Ghidelli

Foto di Marco Ghidelli

L’indomani mattina, finita la festa, lo scontro tra Giulia e Jean, quello tra un nobile ed un povero e quello tra una donna e un uomo, è inevitabile. L’arrogante e cinico arrampicatore sociale si mostra per quel che è e palesa le sue intenzioni. Dall’altro lato la natura fragile e instabile della giovane donna si fa sempre più prepotente. Qui eccessi e vuoti hanno vestito la scena. L’assenza dello spirito del conte, presenza soltanto evocata in Strindberg, ma dominante nell’animo di Jean, non è emersa, cosa che ha impedito d’intuire appieno il suo dissidio interiore. Allo stesso tempo, spregiudicato e timorato, rispettoso nei confronti di quel potere a cui soccombe e dal quale è attratto, Massimiliano Gallo, si è distinto nel mostrare uno spessore recitativo tutto personale, dando, però, l’impressione di aver faticato, a tratti, nel mantenere costante la coerenza del suo ruolo, a causa di una riscrittura che ha peccato di poca fluidità. Anche il racconto di Giulia sulla sua famiglia, un’intima confessione in cui ricercare le cause della sua infelicità, sembra non aver ricevuto l’attenzione adeguata. Le sue parole, affidate alla lettura di un foglio, hanno allontanato l’emotività degli spettatori, rendendoli ancora più estranei alla vicenda.
Alla debolezza dell’elaborazione drammaturgica hanno tentato di sopperire le immagini. D’impatto è stata la scena del ballo in apertura, incisiva quella che descrive l’atto sessuale, netto, sul finale, l’occhio di bue che segue Giulia. Più che dell’ “harakiri del nobile”, la scelta della donna sembra esser mossa dal dolore e dalla consapevolezza della sua solitudine.  Come ipnotizzata la sua mano impugna l’arma che le porge quella di Jean, una mano già sporca di sangue che prima, in una prefigurazione del destino della signorina, aveva ucciso il suo lucherino, e ora le cinge il braccio, accompagnandola nel gesto estremo, diventando nei fatti il complice di un assassinio-suicidio.

Antonella D’Arco

Teatro San Ferdinando
Piazza Eduardo de Filippo, 20 | 80139 Napoli
Contatti: www.teatrostabilenapoli.it

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