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Il testo di Michele Santeramo prende vita nella messinscena diretta da Veronica Cruciani e prodotta dal Teatro di Roma. In cartellone a Castel Sant’Elmo, per il Napoli Teatro Festival Italia, dal  22 al 24 giugno.

Foto Salvatore Pastore

Foto Salvatore Pastore

Sin dal titolo, Preamleto, il lavoro di Michele Santeramo manifesta le sue intenzioni. Si parte dalle premesse dell’Amleto di William Shakespeare, necessarie allo sviluppo degli avvenimenti che descrivono la storia della reale casata danese, per indagare la natura umana attorno al concetto di potere. Se sono noti i fatti che conducono il principe di Elsinore a nutrirsi di una fame di vendetta sempre crescente nei confronti della madre Gertrude e di suo zio, Claudio, oscure restano le motivazioni dei singoli personaggi. Cosa li ha spinti ad agire affinché si determinasse proprio quella e non un’altra condizione di partenza? E se l’incipit cambiasse, cambierebbe anche lo svolgimento della vicenda shakespeariana? L’autore, Michele Santeramo, ci porta dietro le quinte di una tragedia ancora da accadere.
Il re è vivo. L’anziano Amleto (Massimo Foschi) siede in poltrona, da solo, nel grigio mesto di un bunker in cemento armato. Rifugiato in quella scatola che lo protegge da probabili nemici e da occhi impietosi che non lo rispettano più come capo, a causa della sua malattia, è  accudito dalla moglie, Gertrude (Manuela Mandracchia) che, stanca di fare da badante ad un marito che non riconosce più, vorrebbe solo vederlo morto per smettere di essere “un pezzo di niente, legata al niente”. Già, perché a niente si riduce un uomo senza memoria. È infatti la memoria, la perdita dei ricordi, la mancanza  della personale consapevolezza di ciò che si è, il fattore che dà il via alla messinscena. Il vecchio Amleto gioca a fare il fool, nel giorno del suo compleanno, dove a fargli visita si recano solo il fratello Claudio (Michele Sinisi) e il fido consigliere Polonio (Gianni D’Addario), a cui è affidata l’ironia del buffone di corte. Soltanto, in apparenza, la famiglia sembra restare coesa attorno alla figura del sovrano, dato che appena lui volta le spalle, s’innescano contrasti e conflitti tra i protagonisti, interessati ad ottenere il comando. Sopra tutti è Gertrude che cerca di sovvertire le dinamiche di potere, lei vuole continuare ad essere la regina, anche a spese della sua labile e accennata natura di madre. Alquanto emblematicamente il suo reale avversario è il figlio, il giovane Amleto (Matteo Sintucci), che, pur di difendere il padre, assume su di sé le decisioni da prendere, in incognito e all’insaputa dei sudditi e dei familiari. Lo scontro generazionale è pieno e non resta ancorato alla storia che accade nell’hic et nunc, ma sconfina, raggiungendo qualsiasi luogo e ruolo di dominio.

Foto Salvatore Pastore

Foto Salvatore Pastore

La riflessione ci porta a viaggiare su un’analisi ben più ampia degli aspetti della società, della famiglia e delle regole mafiose, che sono presenti nell’intessuto drammaturgico, sebbene mai gratuitamente palesate. La corruzione che fa presa sull’istinto, quando si ha a che fare con la logica della supremazia, investe anche il teatro, ed infatti è questo spazio privilegiato che, Preamleto, decide di abitare. In bilico tra malattia e lucidità, tra realtà e finzione, il re decide di scavalcare un invisibile ring, che è il palcoscenico, ed uscire di scena. Sceglie in tutta coscienza di morire, o meglio di diventare un fantasma, in un gioco metateatrale che pone il suo ultimo ordine da capo come la dimostrazione del fatto che chi ha avuto potere continua ad averlo, anche nell’atto che lo libera dalla schiavitù del dover comandare.
Le scelte registiche di Veronica Cruciani si sono rivelate quanto mai giuste nel delineare una pièce equilibrata in ogni suo aspetto, dalle scene e i costumi di Barbara Bessi, al disegno luci di Gianni Staropoli, fino ai suoni e alle musiche di Paolo Coletta che hanno avuto il compito di traghettare i personaggi da un quadro all’altro, descrivendo attorno a loro un’atmosfera sempre diversa, specchio del loro mondo interiore. Nella direzione degli attori forse è mancato un po’ di ritmo che avrebbe meglio evidenziato l’essenza ironica e giocosa di alcuni momenti, sebbene gli interpreti, tutti, si sono dimostrati all’altezza del ruolo a loro affidato, con una nota di merito per Massimo Foschi e Manuela Mandracchia.

Antonella D’Arco

Napoli Teatro Festival Italia
Castel Sant’Elmo | Sala dei Cannoni
22,23,24 giugno; ore 20.00
http://www.napoliteatrofestival.it/

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