“L’Una dell’Altra”, quando l’arte dell’incontro spalanca l’anima
In concorso al Roma Fringe Festival 2015, oniriche voci femminili raccontano la (nostra) vita, tra speranze e illusioni contemporanee.
Se dovessimo descrivere una reazione istintiva a L’Una dell’Altra, diremmo che è uno degli spettacoli più interessanti di questa edizione del Fringe capitolino. Riflettendoci su, rispondendo “a mente fredda”, vien da ribadire esattamente la stessa cosa: la creazione di Valentina D’Andrea, che ne sigla drammaturgia e regia, oltre che interpretazione, accanto a Flavia G. de Lipsis, è un incontro inatteso, scaltro, che buca il petto con una teatralità contemporanea capace di fendere, con delicata e incisiva lama linguistica, la nostra realtà, la nostra coscienza, il nostro tempo.
D’Andrea-de Lispis sono una coppia di (giovani) trentenni capitate per caso alla stessa fermata dell’autobus notturno. Escono da una discoteca con la musica ancora in corpo: Pina (de Lipsis), aspirante giornalista (ma per ora web writer “senza portafoglio”), è timida e pacata, coperta a se stessa e al mondo da fuseaux neri e canotta pastello: troppo occupata dal ricordare e rispettare castranti e autoimposti schemi comportamentali, per dedicare tempo a vivere. Lucia (D’Andrea) – detta Lucy -, addetta alle pulizie di un teatro in micro abito blu elettrico, è spavalda esplosione di ludica energia puerile mista ad accattivante sensualità femminile: troppo occupata a lasciarsi andare, a godersi ogni momento del giorno e della notte, per fermare in sé i momenti preziosi della vita.
Atea e bigotta la prima, smaliziata e credente la seconda: due caratteri opposti, incompatibili, discordi per indole impulsiva, per genetica provenienza, per scelta coscienziosa; paralleli, speculari, corrispondenti, per disperazioni comuni, per solitudini accettate, per ambizioni cercate.
Attorno a una panchina (illuminata da Silvia Crocchiante), unico oggetto scenico, metro prossemico d’intimità costantemente infranto e difeso, Pina e Lucia si (ri)conoscono – l’Una nell’Altra -, si spogliano – l’Una con l’Altra –, s’interrogano – l’Una dell’Altra -, con inconscia volontà, con meravigliata voluttà. In un’attesa senza inizio né fine (peraltro verosimile, trattandosi della linea urbana notturna di Roma), raccontano di affetti genitoriali mancati; ballano assordate da desideri futuri; liberano parole silenziose, tra sorrisi e occhi lucidi, mentre “fanno finta di” essere animali; mentre tirano note di fumo, da una matita; mentre scrutano il cielo cercando chi non c’è più (perché basta guardare bene: sono là, non troppo lontano, accanto alle stelle cadenti); mentre sfiorano un passato di ricordi e presenze, paure e rimorsi, ferite e rancori.
A condurle, una liricità testuale che sa sciogliere in un continuo scambio d’intesa dialogica, ilarità e commozione, gioconda sincerità infantile e maturo riconoscimento di sofferenza esistenziale. E loro, le due protagoniste, sorprendono, attraggono, e trattengono la nostra mente tra quelle umanità, in un piacevole disorientamento, anche a spettacolo concluso, anche quando, lentamente, ci risvegliamo, allontanandoci dal palcoscenico. Un palcoscenico piccolo che ha saputo, coinvolgere, condividere, emozionare con il teatro. Un palcoscenico piccolo, appartenente a un Fringe “rinnegato” da chi dovrebbe difendere la cultura, da chi si consuma su burocratiche procedure sacrificanti spazi teatrali per un’ipocrisia nota come “risanamento dei bilanci”. Un palcoscenico piccolo sul quale si muove un patrimonio fatto anche di talenti emergenti e giovani proposte, che andrebbero coltivati, non condannati. Forse sarebbe un primo, concreto e reale passo verso il risanamento.
Nicole Jallin
Roma Fringe Festival
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