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La Napoli di Elvio Porta, sceneggiatore del premiato film di Nanni Loy, “Mi manda Picone”, rivive nella voce di Carmen Femiano e nella chitarra di Edoardo Puccini.

Foto SxArmando

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“Napoli vista dal mare è bellissima ma a guardarla da terra, domina un enorme confusione, generata dalla troppa fretta di questi napoletani, forzati della fantasia”. Con gli occhi puntati su Capri, la magnifica, verso un orizzonte infinito, Carmen Femiano, preceduta dal chitarrista Edoardo Puccini, incede a braccia spalancate, quasi a voler stringere in uno slancio caloroso tutto ciò che il suo sguardo riesce a contenere. Così ha inizio il quarto appuntamento della felice kermesse estiva del Nuovo Teatro Sanità, sulla splendida terrazza Le Muse del Grand Hotel Parker’s.

Il maestro Puccini, con l’arpeggio di “Na voce antica”, introduce il racconto di musica e parole, Mi manda (ancora) Picone, di e con Carmen Femiano, tratto dalle prefazioni degli otto capitoli del romanzo di Elvio Porta, che ispirò la sceneggiatura del film pluripremiato del 1983, interpretato da Lina Sastri e Giancarlo Giannini e diretto magistralmente dalla vivida intelligenza di Nanni Loy. La Femiano, per una fortunata coincidenza, confeziona questo delicato cameo a trent’anni dall’uscita del film. Dall’alto della città, quasi in un rapporto di tipo ossimorico, si risente con forza la profondità delle parole, che leggono le viscere di un paese che, secondo Picone (e non solo) brancola nella penombra, da sempre. Ma qui, l’ora del crepuscolo addolcisce ogni tratto gravoso, e nel ristoro di un ritmo rallentato, mente e cuore, cominciano a riconciliarsi per rintanarsi altrove. E il canto di una ninna nanna, intonata a cappella, non può che sbiadire le ombre e richiamare pensieri lievi. La scrittura di Porta, ricca di belle immagini che la musica amplifica, rimanda a costanti déjà vu, oggi, forse, ampiamente abusati. Ma se si riflette che il testo di Elvio Porta risale a più di trent’anni fa, non si può non apprezzarne l’attualità della scrittura, lontano da stereotipi, eredi di una retorica di basso profilo. Palese è la cura nella ricerca di brani classici della tradizione antica napoletana, che l’attrice-cantante propone con il suo timbro caldo ed accorato, in una prossemica che ricorda quella sirena che riemerge dai fondali di Procida. Partenope, icona della città mai tramontata, metà donna e metà pesce, provocante e seduttrice.

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Attraverso le plurime anime tratteggiate da Porta, la Femiano fa rivivere con eleganza e presenza scenica la Napoli che intesse il suo personale carnevale dalle sfumature più svariate, spaziando tra umori e furori dove si trovano anche passioni così ardenti che soffocano. Napoli diventa sempre più spesso specchio che ribalta la realtà, di quelli nei quali non sempre è piacevole ammirarsi. Ed ecco il popolo degli eterni precari, distratti per vocazione, che fingono di vivere per sopravvivere; refrattari alle soluzioni, dove l’imbroglio è un’invenzione per lavorare onestamente. E sfatando poi false congetture, si sottolinea che i napoletani non sono romantici bensì emotivi e democratici, nel rispetto parsimonioso di leggi e regole. Poi l’interprete, abbassando il tono di voce, in un sussurrio tra confidenti, narra della Napoli misteriosa, affascinante, di quel “mondo affatato”, dove anche il miracolo appartiene alla normale quotidianità: laddove, per esempio, non è tanto difficile trovare l’evangelico ago nel pagliaio quanto piuttosto risulta impossibile trovare addirittura un pagliaio. Napoli è costruita sul vuoto: ogni abitante un fantoccio intriso d’acqua di mare, vuoto dentro, simili a fortezze vuote. Ecco svelato il motivo per cui i napoletani hanno paura dei terremoti: temono la loro stessa instabilità, un vuoto vero con un pieno finto. Sono simili ai topi che non vivono ma infestano e, resistendo a tutte le soluzioni radicali, si adattano ad ogni tentativo di sterminio, moltiplicandosi tra i rifiuti. Questo popolo è paragonabile ad un calabrone con ali troppo corte ma che insiste per volare, per apparire ciò che non è. E per questa messinscena dai colori pastello, firmata Femiano, Elvio Porta regala parole nuove: il popolo napoletano, allegro per antonomasia, ride da sempre e continua a farlo, qualsiasi cosa accada. Anche in queste poche righe, Napoli si riconferma fucina di antinomie inconciliabili: attraversata da tragiche sciagure, in una sorta di immobilità connivente, continua a sperare e a ridere. Perché questo inspiegabile riso, così fin troppo “amaro”? Ride di ogni complicazione per autodifesa – recita l’attrice – per restare lucido, perché piangere annebbia la mente. Ma quando questo ghigno di disperazione esploderà, ineluttabilmente, come un’eruzione, le lacrime saranno così tante e inarrestabili che forse invaderanno il mare, che straripando inonderà la città. Napoli, allora, soccomberà a questo pianto atavico. Al termine, con le note della famosa colonna sonora del film Assaje, di Pino Daniele, l’incanto tra cielo e mare dell’attico del Parker’s si colora di una presenza-assenza, collante che segna appartenenza. Con questo ricordo unanime, Carmen Femiano e il maestro Puccini, palesemente emozionati, salutano il pubblico che “dalla città di sopra” ha guardato, quella sua bella terra, vittima e carnefice di se stessa, con la clemenza di sempre. Coscienti di sbagliare, ancora una volta, come tutti gli innamorati, testardi e perdenti.

Antonella Rossetti

Grand Hotel Parker’s
Corso Vittorio Emanuele, 135 – Napoli
Contatti: 3396666426 – info@nuovoteatrosanita.it

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