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In scena per la seconda edizione di Classico Contemporaneo, la storia  di due madri, riflesso di due autori – Pirandello ed Eduardo -, che nella riscrittura di Riccardo De Luca trovano una sintesi, specchiandosi l’una nella vicenda dell’altra.

Foto Giancarlo De Luca

Foto Giancarlo de Luca

Luigi Pirandello ed Eduardo De Filippo si incontrarono a Napoli, per la prima vota, nel camerino del teatro Sannazzaro, nel 1933. Da qui, l’idea della loro collaborazione per quel lavoro scritto a quattro mani, L’abito nuovo .“Questa è la trama – ci ricorda Eduardo – ma il dialogo lo devi scrivere tu, come se lo recitassi a braccia… no figlio mio, non tradurre, dille come le senti”. Luigi Pirandello, con poche parole, suggerisce a tavolino, come sia semplice per un autore e un bravo attore lavorare all’unisono: “coinvolgendo direttamente gli attori nella rappresentazione”. La parola, nata per la scena, è scrittura per “leggere appena dopo aver scritto” e nel mentre si legge, si riscrive. Riccardo De Luca, esperto conoscitore di storia del teatro, con Anime Dannate ricrea l’incontro tra i due autori-simbolo di intuizioni straordinarie e grandi innovazioni per la scena del 900. È la valente Tina Femiano a dare vita alle protagoniste tratteggiate nel maestoso Chiostro di San Domenico Maggiore, per la rassegna estiva “Classico Contemporaneo” a cura di Gianmarco Cesario e Mirko Di Martino.

Il regista-attore De Luca amalgama le voci di due donne, che vivono illudendosi che la realtà muti senza che loro cambino, lottando contro l’evidenza della realtà. Caparbie, rigide nelle loro direzioni e nella loro instancabile “recita”. Racconti di maternità sofferte, allo stesso modo taciute, nascoste e difese. Ne L’altro figlio, novella di Luigi Pirandello, pubblicata in “Novelle per un anno”, trasformata in un atto unico e andata in scena per la prima volta al Teatro Nazionale di Roma, si definisce una sorta di “transmodalizzazioneante litteram, “cambiamento di modo di rappresentazione”, una contaminazione artistica, tra narrativa e teatro. L’incipit, che riecheggia nel Chiostro, è affidato alla giovane Francesca Fedeli, che incornicia la scena con il canto e come un cantastorie dell’antica Farnìa, evoca luoghi ed umori, al ritmo di un tamburo. Con i versi del cantautore Pierangelo Bertoli,“porte di pescatori e gente povera…”, l’attrice narra di Maragrazia, una madre che nel suo mendicare, china sulle scale di una chiesa, cerca la carità di due righe, affinché i figli partiti per l’America sappiano della sua esistenza, di lei che li tiene in vita, con il suo ricordo e la sua attesa. In una scenografia predominata dal grigio, centrali e imponenti, si stagliano le scale, appunto: corpo unico con la donna e secondo assito per il dipanare della messinscena, rifugio per rintanarsi, sparire e ripararsi dall’indifferenza della gente: la sua petulanza e il suo piagnucolare sono nenie che quasi non commuovono più. Anzi, forse, inquietano.

Foto Giancarlo De Luca

Foto Giancarlo de Luca

La stessa madre convive con un dolore e un peccato ulteriore, che cerca compassione per non essere giudicata nel torto che perpetua nei confronti di un altro figlio: Rocco Trupìa. Il figlio della violenza, della brutalità, che scatenò quella camicia rossa di “un Canebardo”, Garibaldi. La Fedeli, versatile nel cambio di abito e di voce, mutando con disinvoltura timbro e registro dialettale, ecco allora trasformarsi in lui, il figlio rifiutato. Le sue movenze ed il suo dire procedono agili e convincono. Intanto, Maragrazia si spoglia del suo fardello, degli stracci-guscio, del lamento costante, delle troppe lacrime versate, per cedere il passo alla madre eduardiana, a Filumena Marturano, quella che “non piange mai”. Interprete della voce di Domenico Soriano, percepito come un documento registrato di repertorio, l’attore e regista De Luca, crea un personaggio fuori campo, che con sguardo oggettivo e quasi distaccato dal contesto, commenta parole ed azioni di quell’anima dannata, di Filumena, carnalità femminile che tutt’ora, con le sue frasi, usurate ed abusate, non lascia indifferenti. Quella “voce-riverbero” di Don Dummì, presenza lontana ma pregnante, si offre come medium nei contrasti di idee e intenti di una coppia in continuo scontro, tra la severa lucidità di Filumena e l’egocentrismo di una personalità volubile come Soriano. Le sedie vuote, segno di continuità tra i due camei, si pongono cariche di senso: immobili, austere, come occhi che scrutano, che giudicano. Occhi di gente, occhi di uomini, di figli. Nella piccola e lontana Farnìa, così come a Napoli.

Foto Giancarlo De Luca

Foto Giancarlo de Luca

L’attenta direzione registica, si precisa in tagli di luce calibrati e studiati per scandire tempi e azioni e dar luce agli animi, creando prospettive ed atmosfere chiaroscurali, che enfatizzano ed amplificano inquietudini ed emozioni. La tessitura musicale, che fa da sfondo alla drammaturgia, è segnata dalla classicità della canzone di Sergio Bruni che, accompagna e chiude la statica corsa in circolo di Filumena. Così, la madre e il suo passato, procedono paralleli: corrono, si affannano, si perdono, avvicendandosi tra frivole scarpe rosse e gli amari ricordi del vico San Liborio.
Tina Femiano, interpreta la sua “personale” Filumena, con pregevole intensità, operando un interessante lavoro di “sottrazione”. Quell’icona del teatro eduardiano, che gran parte delle attrici, soprattutto partenopee, hanno temuto, imitato, qui, si offre al pubblico con naturalezza e quegli adagi, spesso appesantiti da certe recite di maniera, si incarnano sentiti e lievi. La regia discreta di De Luca, smorza climax, sottolineati, troppo spesso, in modo patetico, e leviga, con bravura sottile, quei cliché che, seppur sfociati in belle immagini, non sempre hanno ritrovato la giusta cornice.
Anime dannate, ouverture della kermesse “Classico Contemporaneo” 2015, restituisce con misura il profilo di due grandi Autori, lontani per personalità e formazione ma simili nella costante dialettica, rivolta a disfare le impalcature dell’individuo moderno, come “fustigatori dell’ipocrisia borghese” ma entrambi, “Ciascuno a suo modo”, eccellenti Maestri nell’Arte del racconto.

Antonella Rossetti

Classico contemporaneo
Chiostro di san Domenico maggiore – piazza san Domenico Maggiore 8, Napoli
Info e prenotazioni: 329 185 01 20

 

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