Vincenzo Pirrotta in “Cunto di Tristano”
Debutta al Ravello Festival lo spettacolo di Stefano Valanzuolo dedicato al Tristano così come “cuntato” e diretto dall’attore siciliano, per una commistione tra leggenda e opera musicale che riscrive il mito medievale.
Contaminazioni. Di suoni, storie, linguaggi e memorie. È da qui che prende vita il Cunto di Tristano, ideato e scritto da Stefano Valanzuolo per celebrare i 150 anni dalla prima rappresentazione del Tristan und Isolde di Wagner, e andato in scena in prima nazionale il 22 agosto sul palcoscenico di Villa Rufolo, per la 63° edizione del Ravello Festival.
Coprodotto da Fondazione Ravello e Fucina Italia, lo spettacolo attinge liberamente a tre diverse fonti – Tristano di Goffredo di Strasburgo, Tristano e Isotta di Richard Wagner e Finestra con le sbarre di Klaus Mann – e affida ad una unica voce, quella striata da molteplici sfumature di Vincenzo Pirrotta, la narrazione delle gesta dell’eroe Tristano, qui tratteggiato raccontando parallelamente un’altra figura “mitica”: quella del re di Baviera, Ludwig II, durante i suoi ultimi due giorni di vita, quando detronizzato viene rinchiuso nel castello di Berg con l’accusa di essere pazzo.
La storia del re sognatore, amante del bello e dell’arte, mecenate di Wagner a cui lo lega una profonda amicizia e stima, e segretamente innamorato della cugina Sissi, imperatrice d’Austria, ecco allora intrecciarsi a quella di Tristano e Isolde, ed entrambe a loro volta contaminarsi con la tradizione cuntista siciliana. Ovvero, con la tradizione del corpo che si fa racconto insieme alla voce, al ritmo di una cadenza che è suono di parole, di battiti di piedi, di gesti che fendono l’aria e descrivono, tramandano, testimoniano. Lasciando che la comprensione razionale talvolta si perda, diventi secondaria, a favore di un capire che scava nelle suggestioni inconsce, nelle atmosfere sospese, nella lingua delle emozioni piuttosto che dell’intelletto.
Ed è così che il dialetto siciliano diventa universale, che l’opera si fonde con la leggenda medievale, che le maschere in cartapesta alte quattro metri create da Pirrotta si trasformano in presenze e personaggi funzionali al racconto fantastico (suggestiva nella sua preziosa semplicità, la danza muta delle riproduzioni giganti dei due amanti) e la musica – frutto della commistione dei componimenti originali di Roberto Molinelli e gli arrangiamenti wagneriani – tutto racchiude ed esalta, accentuando la natura articolata, complessa e poeticamente equilibrata della messinscena.
Sul palco, insieme all’ensemble composta da Giampaolo Bandini alla chitarra, Cesare Chiacchiaretta alla fisarmonica, Gaetano Di Bacco ai sassofoni e Roberto Molinelli alla viola, il maniante Dario Argento, attraverso il cui sapiente movimento delle mani i pupi si animano e la pioggia, così come il vento prendono forma muovendo pannelli o particolari macchine sceniche, e lui: l’istrionico Pirrotta, che per un’ora e più magnificamente dirige e cunta un’epoca, un amore, i suoi travagli e dolori, le sue imprese, senza che mai il vivido racconto interpretato – in un alternarsi di toni e intensità – si interrompa nel suo incalzante fluire e con esso l’empatia nei confronti dei personaggi, delle loro storie, dei loro patimenti e delle loro gioie. In nome di un teatro, o meglio di un fare teatro che è nei movimenti fisici e vocali dell’attore e delle sue molteplici immedesimazioni che trova compimento, e unendo stili e generi differenti, si fa sperimentazione, ricerca di nuovi approdi, rilettura di miti sempiterni.
Con l’intento – non secondario – come afferma l’autore del testo drammaturgico nonchè direttore artistico del Festival, di anticipare mode e gusti, così come si conviene ad una rassegna di stampo internazionale, culla quanto mai idonea per dare alla luce progetti, come questo, che travalicando il tempo, omaggiano e valorizzano il passato con lo sguardo rivolto al futuro.
Ileana Bonadies
Ravello Festival
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