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Il canto-denuncia di Mimmo Borrelli inaugura la prima edizione di Efestoval e dalle pendici del Parco Cerillo di Bacoli racconta il Vesuvio a cui somiglianza il napoletano è stato creato, tra creatività e distruzione.

Foto Gennaro Cimmino

Foto Gennaro Cimmino

Come lava eruttano dal corpo-Vesuvio di Mimmo Borrelli le parole urlate, sofferte, taglienti, blasfeme di Napucalisse. E come lava travolgono, scuotono, bruciano coscienze e pensieri. Di chi all’ombra del grande cratere vive, combatte, ama, soffre e gioisce, ma anche di chi quel senso di morte, intrinseco nel vulcano, lo ha trasformato in modus agendi, filosofia a cui ispirarsi, distruzione a cui appellarsi per vendicarsi di un destino non facile.
Accolti nel verde del recuperato Parco Cerillo di Bacoli (pregevole esempio di riqualificazione di un bene comune ad opera di quattro associazioni del luogo unitesi per ridare un nuovo aspetto all’ampia estensione, un tempo abbandonata, che affaccia sul lago Miseno e il mare), si inaugura così, con un lavoro del drammaturgo flegreo qui anche in veste di ideatore e direttore artistico della rassegna itinerante, la prima edizione di Efestoval – Festival dei Vulcani (in programma fino al 26 settembre con sei diversi titoli), che dal dio Efesto trae il suo nome e della sua geniale caparbietà, riflesso di quella di molti uomini, fa il suo filo rosso. Per raccontare storie, all’apparenza piccole, localizzate, ma in verità appartenenti a tutti, indistintamente, per ciò di cui parlano e di cui si fanno testimoni.

Foto Gennaro Cimmino

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Protagonisti del serrato monologo, in cui al ritmo della lingua/poesia risponde quello del corpo convulso di Borrelli, crogiòlo di voci e dialetti, e quello dei suoni riprodotti dal vivo da Antonio Della Ragione, il Vesuvio, nella sua doppia anima di «creatore di vita pur attraverso la distruzione», e per questo – secondo un antica leggenda – riconducibile a  Lucifero che, per aver peccato di superbia, viene fatto sprofondare originando il vulcano; un Pulcinella guitto e saggio, e un killer, di cui non importa il nome, ma conosciamo la storia, nella sua drammaticità. A monito di quella universalità che non intende fermarsi sul singolo, ma sull’assassino per parlare del Male; sui bambini in gita scolastica sulle pendici del monte per parlare di Innocenza; sulla maschera simbolo per antonomasia di una città per parlare di Verità svelate.
Ecco allora, quello di Borrelli, stagliarsi ai nostri occhi e alle nostre orecchie come un urlo; uno schiaffo che intende farci svegliare dall’assuefazione in cui siamo caduti. Una fotografia del reale, quello che abitiamo quotidianamente, esasperata perché non ci lasci indifferenti; perché ci costringa a vedere, ascoltare, riconoscerci. E se la descrizione, in rima, sarcastica e divertente, di un matrimonio napoletano riesce come pochi a riassume il folklore strabordante che ci contraddistingue, la struggente lirica conclusiva è il dolore e l’amore insieme per la propria terra, che prendono corpo. E si fanno lacrime, imprecazioni, rabbia, disgusto, carezza e speranza.

Foto Gennaro Cimmino

Foto Gennaro Cimmino

Napoli e i suoi fantasmi, le sue voragini, i cancri che la distruggono, la sua Storia, i suoi invasori e le sue rivoluzioni, i suoi miracoli e le sue dannazioni, sono qui. Tutte in questo testo in versi. In questo cunto partenopeo. Nato con una struttura più imponente a fargli da cornice (nel 2012 venne presentato in prima assoluta per inaugurare la nuova stagione sinfonica del Teatro San Carlo, accompagnato da orchestra e coro), e ora asciugato nella sua imponente essenzialità. Solo l’immaginazione unita alla realtà a cui affidare l’estro di un interprete che con le radici affondate nei suoi Campi Flegrei, prova -con riconosciuta maestria – a dare il proprio contributo per smuovere le coscienze. Per richiamare l’attenzione su questioni che forse il pensiero del “quieto vivere” preferirebbe restassero nascoste, caparbiamente attaccandosi alle proprie tradizioni, ai proprio idiomi, alla propria comunità custode di una umanità vivida di insegnamenti e stimoli.
Come un «piccolo Efesto maniscalco di meraviglie», che chiama a raccolta chi sente di essere anch’esso tale e insieme a cui immagina di dare concretezza a ciò che reputa – come sempre dichiara – l’unica missione possibile per il Teatro, per chi lo fa e per chi, da spettatore, lo accoglie: salvare. Innanzitutto se stessi.

Ileana Bonadies

Efestoval – Festival dei vulcani
Info e contatti: http://www.efestoval.it/

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