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A Napoli, sindaco, imprenditori e attori uniti contro i tagli ai teatri del Sud, in cerca di soluzioni post riforma.

Teatro Augusteo, sede dell'incontro pubblico svoltosi

Teatro Augusteo, sede dell’incontro pubblico svoltosi

Il dibattito sul Sud, recentemente riapertosi in seguito alla pubblicazione del Rapporto Svimez, vede solitamente contrapposti due fronti, l’un contro l’altro armati: il primo, tendente ad attribuire ogni responsabilità dell’arretratezza del meridione ad un governo centrale storicamente mai attento a quanto avviene al di sotto del Garigliano; ed un altro, che punta il dito contro il “piangersi addosso” del popolo del Sud Italia. La prima tendenza arriva fino alla parossistica nostalgia neo-borbonica, la seconda trova le sue espressioni più sanguigne in un antimeridionalismo quasi lombrosiano.
Chi ha assistito alla conferenza stampa tenutasi ieri all’Augusteo sul tema dei tagli ai fondi per il teatro ha avuto modo di leggere in filigrana, negli interventi che si sono succeduti, l’alternarsi delle due argomentazioni senza particolari variazioni sul tema. Pietra dello scandalo, infatti, è la scarsa considerazione offerta dal Ministero ai teatri meridionali (circa il venti per cento delle strutture riconosciute come meritevoli di sostegno, infatti, ha sede al Sud o nelle Isole; ma anche importanti realtà storiche del Settentrione – come il Teatro Nuovo di Milano – sono state praticamente snobbate). Gli impresari del palcoscenico partenopeo hanno deciso, quindi, di mettere in piedi una protesta – per vie legali e politiche – volta a ottenere la modifica del decreto incriminato o quanto meno una riduzione dei suoi effetti (che, almeno in teoria, dovrebbero protrarsi per un intero triennio).
Una miriade di interventi ha preso vita nel foyer dell’Augusteo: i più, tuttavia, apparivano maggiormente interessati ad esporre la propria situazione di difficoltà imprenditoriale alle autorità presenti che non a contribuire al proficuo sviluppo del dibattito. Alcuni contributi si sono comunque segnalati per brillantezza ed efficacia: Carlo Cerciello del Teatro Elicantropo ha messo in rilievo l’assoluta insensatezza del metro “quantitativo” usato per valutare la qualità degli spettacoli prodotti; mentre Michele Monetta di Icra Project ha incoraggiato il sindaco De Magistris a compiere la tanto invocata rivoluzione partendo proprio dall’ambito teatrale.

Luigi De Magistris

Luigi De Magistris

L’inquilino di Palazzo San Giacomo ha sottolineato la necessità di non smantellare la rete di teatri del territorio, soprattutto in momenti in cui appare chiaro che l’unica alternativa a cultura, arte e sport (in particolare nei quartieri più disagiati) non può che essere il malaffare e la piccola e grande criminalità. Responsabilità di questa situazione di crisi, a suo avviso, è da cercarsi nell’intervento del governo centrale (scientemente volto alla “cloroformizzazione”, secondo il sindaco); ma De Magistris ha provato anche a tenere insieme le due tendenze del dibattito sul Meridione stabilendo che, per quanto abbandonato dallo Stato, il Sud dovrebbe trovare la capacità di riprendersi puntando sulle proprie risorse: per questo, più che confidare nell’improbabile modifica del decreto ministeriale, ha proposto di concentrare le energie nella programmazione europea, in modo da reperire ulteriori fondi per una via indipendente dal Ministero.
Sebastiano Maffettone, consigliere dell’attuale presidente della Regione Campania, ha invece nicchiato sul riconoscimento di fondi regionali, facendo riferimento al modello di Big Society portato avanti da David Cameron nel Regno Unito in base al quale ciascun’impresa deve trovare il modo per autofinanziarsi.
Molta soddisfazione ha accompagnato la fine dell’incontro, reciproci graziosi ringraziamenti tra le istituzioni ed impresari ed attori, ed un buffet preparato per l’occasione ha sancito la comunione di intenti ritrovata.
Resta un dubbio a chi ha ascoltato due ore e mezza di dibattito, tutto giocato sul tema dello “sviluppo negato al Mezzogiorno” e del “grave danno ai livelli occupazionali”. A giocare sul terreno dei parametri economico-finanziari, si finisce per soccombere nei confronti di chi, quei criteri, li gestisce con maggiore padronanza. Che sia davvero possibile misurare Eduardo e il Natale in casa Cupiello solo nei termini di quanti spettatori abbiano ammirato, negli anni, il celeberrimo presepe? Che la grandezza di realtà come il Nuovo Teatro Sanità, Sala Ichos, Elicantropo, Sala Assoli, Galleria Toledo possa quantificarsi solo nei termini del giro d’affari – in verità assai modesto – che esse riescono a smuovere?
Gli unici a risolvere questo equivoco sono proprio De Magistris, Cerciello e Nino Daniele (assessore napoletano alla Cultura, anch’egli intervenuto nel corso dell’incontro pubblico): il teatro, nelle loro parole, torna ad essere investimento sulla qualità della vita e sulla tenuta della rete sociale; e smette, per fortuna, di rappresentare un piccolo e freddo “zero virgola” nel Pil, riprendendo invece il suo antico, magnifico valore.

Antonio Indolfi

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