All’alba, tra versi e memorie dei Campi Flegrei [FOTOGALLERY]
La spiaggia di Torregaveta si trasforma in palcoscenico naturale per il debutto del lavoro condotto da Mimmo Borrelli con gli attori del suo laboratorio, all’interno di Efestoval.
Sono i colori dell’alba a definire i contorni dei quadri che Mimmo Borrelli mette in scena, da regista e drammaturgo, sulla spiaggia e il pontile di Torregaveta (sabato 19 settembre e in anteprima venerdì 18), per il lavoro firmato Efestoval – Festival dei Vulcani 2015, Memorie e versi dei Campi Flegrei, nato dal laboratorio condotto dallo stesso Borrelli insieme ai giovanissimi e talentuosi attori Riccardo Ciccarelli, Veronica D’Elia, Renato De Simone, Paolo Fabozzo, Enzo Gaito, Lucienne Perreca.
A prendere vita dinanzi agli occhi degli spettatori riunitisi all’insolito orario delle sei del mattino al terminale della Cumana, mentre la pace assoluta ancora domina tutt’intorno e solo il rumore del mare cadenza il tempo che si appresta a vivere un giorno nuovo, due testi dell’autore flegreo, rispettivamente Sepsa e A sciaveca, per l’occasione riassunti in stralci riadattati in modo da consentirne l’ambientazione sfruttando la scenografia naturale e il percorso itinerante immaginato.
Al centro del primo nucleo di storie, le vicende drammaticamente reali e dolorose di Petru Birladeanu, il musicista rumeno ucciso alla stazione di Montesanto, vittima innocente di un agguato di camorra, e quella di Cristina e Violetta, le due bambine rom annegate, tra l’indifferenza degli altri bagnanti, proprio sulla stessa spiaggia dove la messinscena, ora, ne rinnova il ricordo, tesa a vincerne l’oblio e fermarne l’assurdità nelle coscienze degli astanti. Mentre le urla di rabbia e disperazione di allora, della moglie e della cuginetta delle tre vittime, torna a rimbombare e squarciare quel silenzio di omertà e assuefazione che ai tempi impedì qualsiasi intervento repentino e che ora mira diritta al nostro stomaco, all’apparente quiete in cui presumiamo esserci rintanati, ridestandoci da un sonno della ragione e della consapevolezza che diventerebbe tragica complicità se tacitamente assecondato.
In bilico tra immaginazione e verità, invece, la seconda parte della narrazione che in uno sforzo di sintesi necessario, trasforma i dieci canti e i circa tremila endecasillabi sciolti dell’opera nella sua versione originale, in cinque momenti attraverso cui si dipana il complesso tratteggio di tre fratelli: il primogenito Tonino ‘u bbarbone, Peppe Scummetiello, prete del paese, e Cinqueseccie, fratellastro mai riconosciuto dei due, nato dalla violenza carnale perpetrata dai padre ai danni di una giovane donna di Bacoli dalla voce e le ali di gabbiano in segno di libertà, che della sua condizione di figlio illegittimo si vendicherà nell’estremo tentativo di esorcizzarne il male che ha contraddistinto la sua esistenza. Accanto a loro, un quarto personaggio scritto pensando ad un uomo realmente esistito e di cui Borrelli ha raccolto la storia, Pacchione, pescatore di frodo, rimasto menomato dallo scoppio di un residuo di bomba usato incautamente per pescare.
Sottofondo di valore per imponenza e carica simbolica dell’intero lavoro, il mare della costa flegrea: causa e sollievo, al contempo, dei racconti drammatizzati a cui assistiamo e che Borrelli dirige dal vivo, con lo sguardo, mentre in disparte si accuccia prestandosi a fare il fonico con un piccolo impianto che trascina a mano nelle varie tappe, senza mai abbandonare del tutto la scena, in un realismo a cui riconosciamo non carattere di casualità, ma di volontà. In nome della natura laboratoriale della rappresentazione del suo complesso, dunque quale guida presente per i suoi allievi, ma anche in nome di quello che abbiamo individuato come il ricercato dubbio da insinuare se trattasi di finzione o di realtà; di teatralizzazione della cronaca o di realismo teatrale, così imponendo, ai presenti, continue domande da fare a se stessi e valutazioni su ciò che si sta ascoltando e osservando, non senza ripensamenti e altre valutazioni ancora. In un infinito tribolare che racchiude, del resto, l’essenza stessa del Teatro di Borrelli e che egli stesso così descrive: «Un teatro vivo, viscerale, luculento seppur di pensiero, non di per se antropologicamente fine a se stesso nel raccontarci e crogiolarci sulle nostre sincrasie intellettive, bensì un teatro crudele e dunque poeticamente elevato, da quella poesia che costituisce l’unica salvezza per la realtà».
Un teatro – aggiungiamo – che necessariamente si fa rito collettivo, esperienza da condividere con chi abbiamo affianco e con gli attori, a cui restiamo legati da un filo di emotività e compassione che ci tiene dentro la loro storia, le loro afflizioni, gli spasmi fisicamente patiti con veridicità assoluta, l’interpretazione matura di ciascuno di loro nella non facile prova di restare concentrati nel ruolo nonostante i possibili inconvenienti che il recitare in un luogo aperto e adibito ad altro anche durante la messinscena, comporta. Senza che da tale vortice si esca definitivamente neppure al termine, quando, finiti gli applausi, ancora strascichi è inevitabile restino e sedimentino in ognuno secondo percorsi differenti, per forse, poi, evolversi e produrre conseguenza inaspettate. Che solo il domani potrà interpretare e riempire di senso.
Intanto, però, resta il presente, il ricordo di quanto vissuto, le pennellate di rosa e di azzurro nel cielo, il graduale risveglio della città, le scarpe sporche di sabbia e di sale.
E tanto basta per iniziare.
Ileana Bonadies
Efestoval – Festival dei Vulcani
Info, contatti e programma: http://www.efestoval.it/