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In scena ad Efestoval – Festival dei Vulcani il suggestivo allestimento di “N’gnanzoù”, il testo firmato da Vincenzo Pirrotta dedicato alla storia della tradizionale pesca dei tonni, rituale di un tempo ormai lontano.

Foto di Gennaro Cimmino

Foto di Gennaro Cimmino

Arriva dalle acque del lago Miseno, N’gnanzoù, il racconto di e con Vincenzo Pirrotta dedicato al rito della mattanza.
Arriva da una barca che nel buio di una notte di fine estate attracca ad un a zattera trasformata in palcoscenico, e mentre in lontananza le luci delle case sbrilluccicano così che cielo e terra sembrano toccarsi, il cunto dell’autore siciliano, dedicato al mare e ai pescatori, ha inizio e con esso l’immersione – di noi tutti spettatori galleggianti – nella realtà arcaica dei tonnaroti.
Siamo a Bacoli, all’interno del cratere di un antico vulcano, ma è a Favignana che ci sentiamo catapultati sin dalle prime parole del Muciariotu (colui che governa la “muciara”, la barca su cui il Rais coordina le operazioni di pesca) e del suo Rais (il capopesca, appunto): in mare aperto insieme a loro iniziamo ad aspettare l’arrivo dei tonni, giunti nel Mediterraneo per depositare le uova e ora nuovamente pronti a raggiungere l’Oceano passando per lo Stretto di Gibilterra. Imprevedibile è il momento esatto in cui ciò avverrà, da qui l’attesa su cui Pirrotta sceglie di fermare il suo sguardo per raccontare le molteplici sfumature di quel tempo sospeso, in cui l’adrenalina sedimenta insieme alla speranza che la pesca sia fruttuosa e i pensieri si affastellano, prima che la fase finale esploda e la lotta tra i pesci e la ciurma, i guerrieri di lu mari, abbia inizio.
A traghettarci nell’antica tradizione ormai scomparsa, scrigno di un antico patrimonio linguistico che in questo modo si è inteso riportare alla luce e far conoscere – quello delle cialome, ovvero i canti intonati nella tonnara per scandire il lavoro, sia durante la fase di avvicinamento, solo a forza di braccia, del vascello di levante per posizionare le barche a quadrato (aiamola), sia durante “l’issata du cuppu”, della rete, che deve avvenire attraverso movimenti perfettamente sincronici (n’gnanzoù=forza) –, la voce e la storia di colui al quale il drammaturgo e cuntista palermitano si è ispirato, dopo averne ascoltato dal vivo i racconti e le avventure di una vita intera dedicata al mare: Mommo Solina, ultimo Rais della più antica tonnara di Bonagia, nel trapanese.

Foto di Gennaro Cimmino

Foto di Gennaro Cimmino

Uomo di grande esperienza e saggezza, è lui – nel corpo, che vibra, sussulta, danza, e nell’interpretazione, possente e parossistica, di Pirrotta – a condurre il monologo così come le azioni in esso ripercorse, ed è attraverso il suo interloquire con il Muciariotu (Mario Spolidoro, anche autore delle musiche originali eseguite dal vivo, nate dalle suggestioni del testo alla cui complessità e forza si lascia corrispondere una semplicità ed essenzialità sonora che esalti per contrappasso la drammaturgia) che le memorie che gli appartengono, così come quelle che appartengono alla sua terra siciliana, ai suoi miti, alle sue leggende, salgono a galla, e come sogni interrompono la ritualità dei gesti preparatori alla tirribbili battagghia e conferiscono oniricità alla ruvidezza della narrazione; alla sua drammatica natura, intrisa di sangue e morte, ma anche di rispetto  e devozione.
Quel rispetto e quella stessa devozione che fanno muovere a compassione il rais all’idea che i tonni, dopo averli lui stesso uccisi, li portanu e li vannu a marturiari supra la chianca, e che affidano alla preghiera il buon esito della mattanza, in un indistinto fluire di sacro e profano, di vita e di strazio inflitto, arpionato, urlato. Come se si fosse proprio quel tonno prigioniero della camera della morte, impossibilitato a fuggire e prossimo ormai alla fine. In quel lembo di mare pian piano sempre più rosso, grosso, agitato dagli ultimi colpi di pinna degli animali morenti e che dalla nostra posizione privilegiata di osservatori scorgiamo perfettamente, come se tutto stesse accadendo realmente dinanzi ai nostri occhi, in quel momento. Al largo di quella zattera sui cui gesti e parole si fondono insieme, senza che più sia possibile separare gli uni dalle altre, e la forza vocale di uno soltanto, attraverso l’impiego della diatonalità (non nuova nei lavori di Pirrotta) diventa capace di rendere quella di quaranta uomini, intenti ad issare una rete tra le cui trame, reali e simboliche, restiamo inevitabilmente impigliati noi stessi.

Ileana Bonadies

Efestoval – Festival dei Vulcani
Contatti: http://www.efestoval.it/

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