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Al Teatro Belli di Roma, per la XIV edizione di TREND – nuove frontiere della scena britannica, Valerio Binasco e Teresa Saponangelo leggono la commovente drammaturgia di Marina Carr.

Fonte foto Ufficio stampa

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Nella sala del teatro trasteverino, che fino all’11 dicembre ospiterà la rassegna-festival incentrata sulla drammaturgia contemporanea inglese curata da Rodolfo di Giammarco, restituita da tredici autori, e tradotta in quattordici tra spettacoli, reading e mise en espace, il 27 e 28 ottobre ci si è calati in una realtà “altra”, astratta, quasi fosse una rêverie bergmaniana, cosparsa di un persistente, denso legame di emotività.
Una lettura appassionata, sanguigna, lacerante, diffusa per voce e presenza del binomio artistico Valerio Binasco-Teresa Saponangelo che, superlativi – è doveroso dirlo subito -, su una scena asilo solo di un tavolo, due sedie e due aste con microfono, liberano un’istintiva e simbiotica sintonia interpretativa con la quale plasmano e donano un’umanità intimamente straziata, sofferta e consunta di un padre, anziano ex compositore (che ormai suona solo per la sua mente e per le nostre orecchie), solitario, per sua testarda e statica autocondanna, e sua figlia, pianista affermata, a lui astiosamente richiamata e avversamente attratta da un inflessibile e rancoroso affetto.
L’eco dello shakespeariano rapporto tra Re Lear e Cordelia, pieno di un’amore desiderato e calpestato dalle parole, dichiarato ed eluso nel non-detto, si tinge nella poeticità drammaturgica di Marina Carr (per la traduzione di Valentina Rapetti), e nell’essenziale e delicato coordinamento scenico di Binasco, di un sentimento ostile alimentato da un’invidia (pretestuosa e perpetua) per un talento “rubato”, capricciosamente scacciato, represso (con gelosia infantile) nell’accusa di mediocrità. Un vorticoso rincorrersi di reciproci biasimi, ceduti di bocca in bocca con vocalità ora dolci ora rabbiose e fisicità pacate, proclamati dall’inerme padre inetto – a detta di lei – artefice di quel “niente da cui nasce niente”, stretto a una vecchiaia prossima alla morte, in una quotidianità casalinga logora e decadente, e replicata in difesa, con moti offensivi, da una figlia umiliata – “cuore di cane”, a detta di lui – prossima al fallimento esistenziale. Entrambi vittime e complici della sconfitta; entrambi indissolubilmente uniti nell’incapacità di vivere: entrambi così fatalmente simili.
Molti sono gli accenni, sottili, volontariamente sfuggenti, alle dinamiche relazionali dei personaggi del Bardo; tuttavia l’acutezza testuale della Carr non va confusa e ridotta a pura riscrittura o mera trasposizione degli archetipi originari. Niente di regale, niente di imponente tra loro, semmai debolezze e fragilità, tentazioni e angosce, deliri e rimpianti terreni che macchiano un legame tra due sensibilità accuratamente intriso (dallo stesso Binasco) di un certo humor innocente, schietto: quello buffonesco e veritiero donato dalla follia a chi abbandona progressivamente la ragione al risveglio della demenza. Sì, perché, dopo cinque anni senza Cordelia, lasciato al silenzio tanto ambito, solo la pazzia può rendere sopportabile accettare che la propria figlia torni per suonare, insieme, le note immaginarie morte.

Nicole Jallin

Teatro Belli
Piazza Sant’Apollonia 11/a, 00153 Roma
Contatti: 06 5894875 – info@teatrobelli.it – www.teatrobelli.it

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