“Tandem”: una corsa sfrenata (a ritroso) verso se stessi
Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco, su testo di Elena Stancanelli, raccontano il passaggio dalla gioventù all’età adulta, in bilico tra ricordi, silenzi e complicità.
Nella penombra della scena, in posizione centrale, s’intravede una grande struttura in ferro. È una bicicletta, un tandem. Così, subito, balena alla mente il numero due. Un binomio, una coppia. Ma un tandem non è semplicemente una bici a due posti. È un’idea creata per due persone. Due entità, un solo sentire. L’ imponente scultura di Mario Petriccione, che poggia su di una molla che la tiene in bilico, è coprotagonista, assieme a Manuela Lo Sicco e Veronica Lucchesi, della messinscena Tandem, di Elena Stancanelli, ideata e diretta da Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco. Sulla destra del proscenio di Officina Teatro San Leucio (che li ha ospitati dal 31 ottobre al 1 novembre), illuminate da un cono di luce, le attrici Lo Sicco e Lucchesi si presentano: Federica e Paola, magliette bianche, jeans ed anfibi neri. La levità del bianco per scappare al mare, le scarpe scure per le manifestazioni ribelli. Con i capelli arruffati, come clown, in maniera speculare, prendono pose, “fanno le facce”, le smorfie, esasperano gesti. Si rincorrono, veloci ed aggressive. Con staffe di ferro costruiscono e smontano più volte quella bicicletta sospesa, così come i loro ricordi, fatti di sogni e rimorsi, che si frammentano in continuazione per ricomporsi e frantumarsi di nuovo. Questo tandem è la loro vetta da scalare, una montagna di gomma, un muro-cortina da oltrepassare, cavallo furioso da cavalcare e domare. Casa rifugio per rintanarsi, per raccontare e guardare il cielo. Per raggiungere Ciccio, che con chiavi e tenaglie aggiusta bici e forse scassina coscienze. Quell’uomo che Paola non bacerà mai ”perché è brutto” ma “ha il fumo buono”, che le porta altrove. Il rumore di spranghe, ferro di barricate, ricorda quello di una guerriglia assordante. Fragoroso, il tintinnio di monete lanciate, raccattate e riposte in un casco. Casco che protegge e che uccide. Denaro, potere che corrompe e compra pseudo-libertà e morte. Quelle di Federica e Paola sono le grida dei tanti giovani confusi che corrono verso un futuro che a tratti sbiadisce e si perde. Nei loro occhi c’è l’entusiasmo per un mare che le meraviglia e la rabbia di una rivoluzione mai vista ma di cui se ne sente un bisogno interiore, attratte da quel fascino insito, proprio delle nuove avventure. E la voce di Federica, ridondante, sovrasta e scuote: reclama il nome “Paola”, come per tenerla, per sentirla rispondere ancora. O, forse, solo per chiederle perdono. Ognuna conosce il vissuto dell’altra. Eppure, Paola non ricorda e ripete spesso “Non ricordo, dov’ero?”. Non ricorda della loro professoressa grassa, morta impiccata, che “non dava consigli ma insegnava”, nè della grave menzogna dell’amica, per la quale un amico era stato sfregiato con una bottiglia. Federica incarna il dolore per non essere riuscita a salvare Paola da quella pistola “ballerina”, che con frenesia passava da una tasca all’altra delle loro storie.
Il ritmo della messinscena è impetuoso, non lascia tregua: lo spettatore non può distrarsi, deve ricucire il senso in orli di spazio e di tempo che possono sfuggire in immagini lampo; i corpi delle due amiche si spingono, si snodano, sobbalzano, ogni pedalata è una scarica di adrenalina che risale in gola, un ricordo tagliente, un morso amaro da ingoiare. La loro energia trasuda dagli occhi e dal fisico, evoca il frastuono di una generazione che ha pagato il torpore di altri. E lo sfasamento, la separazione, la corrosione di un vivere distratto le rende vittime di sistemi feroci e violenti. Le due attrici, a turno, passandosi un berretto, diventano Ciccio e, mutano sapientemente timbro, prossemica ed intenti. Lo spettacolo è giocato sulla precisione dei movimenti, la forza delle immagini espressive, delle pause, dei silenzi. Silenzi che come pochi interpreti, riescono a gestire, dilatandone tempi e suggestioni. Silenzi che si leggono chiari, immediati, sottolineati dai volti e dai gesti. Le musiche di Davide Livornese, ad orecchi poco esperti, richiamano un rock roboante e prorompente, che intensifica quel senso di smembramento e disorientamento, che la scena comunica.
In Tandem, il testo, l’interpretazione e la direzione sembrano seguire la stessa linea creatrice, conferendo una coerenza armonica alla rappresentazione, per la quale si ha quasi l’impressione che la scrittura scenica sfugga a quella drammaturgica e che tutto sia stato riscritto dai corpi e facies in divenire. E pare impossibile che sia un’ipotetica didascalia ad incorniciare quei quadri così vividi e dinamici dell’azione teatrale. E se ne vorrebbe saperne di più. Ma bisogna leggere lo spazio scenico, osservare la parola agita, quella che si distacca dal foglio per diventare altro. E forse è giusto così. Quella di Elena Stancanelli è una bella scrittura dal tratto scarno, essenziale ma fluido e con un intuizione del tutto personale. L’intenso lavoro attoriale, conferma ancora una volta la peculiarità di intendere il teatro-fatica di Civilleri e Lo Sicco, fondatori, insieme con Emma Dante, nel 1999, della compagnia Sud Costa Occidentale. Le protagoniste, cicliste in coppia, legate da sempre, pian piano, diventano agenti di una assoluta separazione, che recitano, non intendendo più il rumore della loro vita, della morte che si avvicina; a tenerle ancora insieme, solidali, solo l’aiutarsi reciprocamente a far passare sotto silenzio la verità, per nascondere la violenza subita e quella compiuta, la sventura che le circonda. Ma se si rimane soli, il tandem conserva il suo significato di senso? Anche se, oramai, è solo Federica ad essere rimasta seduta in sella a quel gigante inerme su due ruote? Ora che Paola, perenne crisalide, ha finito la sua corsa, scendendo troppo presto e per sempre, provando che “morire è sempre come affogare, perché non respiri”, quel tandem è soltanto una semplice bicicletta di ferro, con ruote che girano sempre più a vuoto e che presto arrugginirà.
Ad Officina Teatro, con la compagnia Civilleri-Lo Sicco, ingenuità e menzogna si colgono in flagrante, in una sorta di tentativo ambiguo di ”jeu de massacre”, dove l’esperienza del conflitto individuale si mescola e si confonde alla sovversione collettiva. Un equilibrio eternamente instabile può scardinare rapporti. E i tanti ricordi e segreti condivisi possono non bastare a deviare destini, ricomporre storie e credere nelle rivoluzioni.
Antonella Rossetti
Officina Teatro
Via degli Antichi Platani, 10, San Leucio, Caserta
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