Julie, anima senza tempo
Mario Gelardi dirige l’atto unico liberamente ispirato a “La signorina Julie” di August Strindberg che in prima assoluta debutta a Portici per Il Teatro cerca casa.
Fa impressione constatare la straordinaria modernità di alcune opere teatrali e letterarie del tardo Ottocento, capaci di interpretare e, talvolta, svelare i meccanismi della civiltà odierna più di tante creazioni contemporanee. Capita, così, di restare affascinati da una pièce come Signorina Julie di August Strindberg che, pur se costruita su un gioco di ingranaggi narrativi non trasportabile nel mondo attuale, conserva in sé il travaglio irrisolto della dialettica tra le classi sociali e punta con forza su un personaggio femminile che tenta di rovesciare, con la propria sicurezza e sensualità, le convenzioni sociali che la vorrebbero relegata ad un ruolo di subordinazione verso gli uomini della sua stessa famiglia.
Si scorgono, allora, le ragioni di questa trasposizione riadattata da Mario Gelardi che ne cura anche la regia, e portata in scena, in prima assoluta, il 13 novembre, in occasione del nuovo appuntamento de Il Teatro cerca Casa, da Irene Grasso (la signorina Julie del titolo) e Carlo Caracciolo (nel ruolo di Jean, ambiguo domestico che da vittima passa presto ad essere carnefice).
Il testo del drammaturgo svedese, datato più di centoventi anni, non viene alterato, né dal punto di vista del linguaggio né della dimensione temporale, se non per tagliarne scene e personaggi secondari, eppure non sembra sentire il peso dell’età né quello delle rinunce; l’intero peso della narrazione si sposta su Julie e Jean, dei quali seguiamo l’avvicinamento (culminante in un rapporto carnale su cui Gelardi lavora di ellissi) ed il successivo, progressivo distacco; la conquista dell’altra diventa, per il giovane, strumento per realizzare una rivalsa sociale a lungo agognata, mentre per la signorina Julie il gioco di seduzione innescato e portato a termine con successo è motivo di riscatto nei confronti di una concezione generale della donna quale mansueto angelo del focolare.
L’uno usa l’altra, insomma, per poi restare intrappolato dal giogo pesantissimo delle convenzioni sociali, avversate fino a poco prima; ad avere la peggio sarà Julie, benché il finale si distanzi dalla tragedia dell’originale in cui Strindberg sfogava la risaputa misoginia.
Ottima la prova attoriale dei due interpreti coinvolti, tra cui non trascurabile e particolarmente meritevole è il peso preponderante che assume la Grasso nell’evoluzione in crescendo della storia. Una performance incisiva, infatti, è quella che la vede protagonista, in cui, con la stessa credibilità, passa dal ruolo di conquistatrice a quello di preda, interpretando con personalità lo spettro di emozioni del suo personaggio, esaltandone la forza così come le intrinseche debolezze.
Altrettanto degna di nota la particolare resa data dall’ambientazione casalinga de Il Teatro cerca Casa, stavolta ospite nel veterano salotto porticese che da sempre sostiene e promuove la rassegna; a ben vedere, unico elemento visivo di modernità, metafora di drammi, conflitti e tensioni che, pur con altre forme, trovano ancora posto nelle dimore di un oggi così vicino a quel fine Ottocento in cui scriveva Strindberg.
Antonio Indolfi
Il Teatro cerca casa
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