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Tra le maggiori esperti di scherma teatrale, è stata a Napoli per condurre un laboratorio, ponte di arte e creatività tra la nostra città e Parigi.

Fonte foto Ufficio Stampa

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Dal 16 al 20 novembre si è tenuto lo stage di Combattimento Scenico e  di Scherma Teatrale, organizzato da Murìcena Teatro, Teatro nel Baule e Asylum Anteatro ai Vergini, diretto da Florence Leguy, maestra d’armi, coreografa e direttrice di combattimenti scenici presso l’Académie Internationale des Arts et du Spectacle (A.I.D.A.S.). Come naturale conclusione del laboratorio, sabato 21 novembre è in programma una dimostrazione pubblica del lavoro svolto. L’appuntamento è previsto in due turni, uno alle 15.30  e l’altro alle 16.30 presso Piazza Municipio, nello spazio antistante Palazzo San Giacomo. L’evento, col Patrocinio dell’Assessorato alla Cultura, in caso di pioggia si trasferirà nella vicina Galleria Umberto I.
Noi abbiamo incontrato Florence Leguy qualche giorno fa. Al tavolino di un bar, nel cuore del centro storico di Napoli, ad accompagnarla è Raffaele Parisi, presidente di Murìcena Teatro, che ci introduce a lei e ci dà una mano nella traduzione dal francese. Davanti ad un caffè ha inizio l’intervista, una piacevole chiacchierata da cui, da subito, si evince la disponibilità e la generosità della Leguy nel raccontarsi.

Fonte foto Ufficio Stampa

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Lei insegna scherma teatrale e combattimento scenico, in che misura questa disciplina trova spazio nei diversi generi teatrali, nella Commedia dell’Arte, nel teatro classico e in quello contemporaneo?
Io ho praticato la scherma sin da piccola, diventando maestro d’armi e vice-campionessa di Francia. Poi ho deciso di studiare per diventare un’attrice. Quando ero in accademia e spesso mi chiedevano di recitare ruoli classici, come ad esempio la Medea, da allieva, m’interrogavo sul tipo di rapporto che intercorre tra la parola e il corpo e il rapporto che c’è tra l’uomo e la morte. Ed intuivo che queste dinamiche si possono capire attraverso la storia della scherma. Non è un caso che in Russia tutte le scuole di teatro prevedono l’insegnamento della scherma e della sua storia, come corso integrato alla recitazione e alle altre discipline.
Infatti, combattimenti da gestire in scena sono molto presenti nel teatro, nella commedia dell’arte, in Goldoni e in Shakespeare. Se prendiamo ad esempio proprio quest’ultimo, i combattimenti sono fondamentali, basti pensare a Romeo e Giulietta, Amleto o al Macbeth. Il duello è utilizzato nella drammaturgia come massimo picco del climax, per dare più ritmo alla scrittura o anche per sottolineare alcuni aspetti del carattere dei personaggi. Da come usa la spada si vede che Tibaldo è uno che uccide e che invece Mercutio è il fool del teatro, e ciò traspira dal suo corpo, davanti al quale c’è la morte e davanti alla morte non ci sono più maschere. Nel teatro classico francese, invece la scherma si ritrova sicuramente nelle opere di Corneille, Racine e Molière, mentre nel contemporaneo sono presenti combattimenti, ad esempio nel teatro di Roberto Zucco. Possono essere combattimenti a mani nude, trasformando la scherma in una vera e propria lotta corporea, infatti non a caso si dice che la boxe sia la scherma dei pugili. Ma anche se lo scontro è messo in atto con il coltello o con la pistola, si riscontrano le stesse basi che si studiano quando si apprende la scherma. L’insegnamento della scherma resta nella nozione di direzione del combattimento. E per gli attori questa formazione, sia che si ritrovino a recitare teatro classico, commedia dell’arte o teatro contemporaneo, serve a dare il senso del movimento, l’aggressività, la combattività che poi mostrerà tutta la loro potenza sul palco. Inoltre è utile saper combattere, anche recitando il comico, per meglio caratterizzare il personaggio nell’azione. Oggi questa disciplina è importante anche in televisione e al cinema. In Francia ci sono molte serie televisive dove si fa questo tipo di lavoro, dove sono presenti scene di combattimento a mani nude o con un’arma, ed il maestro di scherma serve a formare l’attore in tal senso.

Fonte foto Ufficio Stampa

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Lei ha insegnato all’Università La Sorbonne di Parigi. Ci racconta quest’esperienza?
Alla Sorbonne ho aperto la sezione di “Escrime de spectacle”, che prima non esisteva. Si trattava di un corso prevalentemente pratico che veniva contabilizzato all’interno della carriera universitaria dello studente, dandogli dei crediti aggiuntivi. A lezione c’erano molti studenti che provenivano dai corsi di laurea in storia, letteratura, teatro e cinema. La cosa importante era che attraverso la scherma e la storia della scherma gli studenti riuscivano a comprendere l’evoluzione della storia occidentale, dall’età della pietra, passando per il diciassettesimo e diciottesimo secolo, fino ai giorni nostri.
Com’è nata la collaborazione con Murìcena Teatro e la volontà di condurre uno stage di combattimento scenico e scherma teatrale a Napoli?
Ho conosciuto Raffaele Parisi (presidente di Murìcena Teatro e Simona Di Maio, co-fondatrice di Teatro nel Baule) all’ Académie Internationale des Arts et du Spectacle, diretta da Carlo Boso, dove insegno. Questa accademia è multidisciplinare, qui si studia canto polifonico, scherma, danza, mimo, acrobazie, flamenco e recitazione. La formazione è incentrata sul corpo. Inoltre la particolarità di questa scuola è che, durante l’anno, si preparano degli spettacoli che poi partecipano, da aprile a luglio, a vari festival internazionali, quali quello di Avignone, il “Mois Molière” di Versailles e il “Printemps des arts” di Parigi. Quest’anno l’A.I.D.A.S. parteciperà anche al Teatro dei Giovani a Siracusa e naturalmente alla Giornata Mondiale della Commedia dell’Arte a Padova. Negli spettacoli allestiti la cosa unica e importante è il rapporto che s’instaura col pubblico. Nelle sue master-class Carlo Boso ricorda sempre che la commedia dell’arte, a metà del sedicesimo secolo, ha immesso gli attori  professionali e che loro recitavano nelle pubbliche piazze, per cui, per vivere di questo mestiere era necessario, da parte loro, fermare il pubblico e farlo assistere alle rappresentazioni. Ecco Carlo insegna agli attori, il codice per poter parlare al pubblico. Dopo i tre anni di accademia poi gli allievi formano la propria compagnia e gli spettacoli diventano spettacoli di repertorio della compagnia. Io e Raffaele ci siamo conosciuti lì e anche se ora lui è a Napoli e io a Parigi, abbiamo cercato un seguito di quell’esperienza, sperando che la collaborazione continui anche in futuro. Perché per me è fondamentale che si trasmetti il mestiere del maestro d’armi, un mestiere antichissimo, esistevano i dottori d’armi già in epoca romana. Sento di dover compiere questo lavoro di trasmissione, perché la scherma fa parte della nostra storia e della nostra cultura. L’idea è quella di passare il testimone agli allievi, in modo tale che loro possano usare il mio insegnamento per montare i combattimenti nei loro spettacoli. E poi continuo una tradizione di famiglia, dato che anche il mio bisnonno, che ha sposato una donna italiana, era maestro d’armi.
Pur occupandoci di teatro, non possiamo ignorare gli attacchi terroristici avvenuti a Parigi lo scorso 13 novembre. Senza far politica, ma restando sempre sul piano dell’arte: che funzione può avere l’arte in generale e il teatro in questi accadimenti?
L’arte ha sempre avuto la funzione di essere lo specchio della società, ponendosi l’obiettivo di far capire e di mostrare al popolo cosa succede. Ma deve anche far ridere il pubblico di ciò che succede, per liberarlo dalle sue paure… si capisce molto anche quando si ride! Ed è importante che essa continui a  svolgere questo compito.

Antonella D’Arco

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