Iaia Forte e il sogno di Tony Pagoda
In scena al Nest di San Giovanni a Teduccio, il 20 e 21 novembre, il libro di Paolo Sorrentino, Hanno tutti ragione, così come concepito dall’attrice e regista che, tra musica e parole, ripercorre i fasti di un cantante napoletano all’apice del successo.
Tony P. è la scritta che, prepotente, s’impone alla vista del pubblico, proiezione dell’autocelebrazione di se stesso e scenografia del concerto che il cantante sta per cominciare al Radio City Music Hall di New York. Spavaldo, arrogante, ai limiti della volgarità che spesso sconfina, lui è il magnetico catalizzatore dei desideri e delle aspirazioni che attraggono gli italo-americani, trasferitisi negli States.
Pagoda indossa un completo nero, con giacca di paillettes, camicia rossa, vistosa parrucca color mogano, e grandi occhiali fumé che nascondono la verità dei suoi occhi. Così appare l’idolo Tony P., un idolo-immagine, come ricorda l’etimologia della parola, non solo di sé, ma del mondo che lo circonda. Iaia Forte nel corpo e nelle parole di un ruolo maschile, non cercando mai un completo mascheramento del suo esser donna, accentua l’aspetto grottesco, a tratti caricaturale del personaggio, che sembra calzarle a pennello, disegnando un’ambiguità che è sottesa materia dell’essenza di Tony. Lui che non sopporta nulla, neanche se stesso vive de “la sfumatura”, insegnamento del suo ammirato maestro Mimmo Repetto, unico quid per cui alla fine Hanno tutti ragione. Il testo di Paolo Sorrentino, edito da Feltrinelli nel 2012, è il campo in cui ci si muove. È soprattutto nel lavoro di adattamento, per lo più un taglia e cuci molto equilibrato, che la Forte, qui regista oltre che attrice, ha saputo fare sua quella lezione impartita dalla prefazione al libro, colorando la scena di tutte quelle sfumature di cui è disegnato Tony P.
Costruito come un concerto, e non uno qualunque, bensì la serata dove, seduto in platea ad ascoltare la band del singer nato a vico Speranzella, c’era The Voice, l’indimenticato Frank Sinatra, lo spettacolo procede nel racconto della vita di Pagoda, scandendo ogni capitolo della sua esistenza con la musica e con le canzoni. La filosofia solo in superficie spicciola, profondamente calata nella realtà e nella dimensione del vero, di Tony, coinvolge chi è seduto in sala che, chiamato in causa, si trova anche ad intonare il ritornello di Nun è peccato di Peppino Di Capri, come in qualsiasi concerto che si rispetti. Insieme a Profumo di te di Pasquale Catalano il brano viene a conclusione della parentesi sull’amore, quello per Beatrice e quello sfiorito e del tutto consumato nei confronti della moglie Maria, prima considerata un oggetto sessuale e ormai dopo quindici anni più che altro “un oggetto d’arredamento”. La notte invece, ad apertura dello show, dà il via a quel sogno rincorso tutta la vita da Tony e col quale s’identifica la sua esistenza. La scena riporta alla mente il primo film di Sorrentino, L’uomo in più, in cui Antonio Tony Pisapia, scintilla creativa da cui ha preso forma Pagoda, era interpretato da Toni Servillo. Il raccordo suggerito dalla memoria è allontanato sul palco dall’inserimento di una ballerina con gilet a stelle e strisce, Noemi (Francesca Montanino) che riporta il momento ad una necessaria ironia, ridicola e parodistica. La stessa giovane donna è anche la prima fan del cantante presente ad inizio spettacolo, che balla con lui, sulle parole di Canta Ragazzina, eseguita da Mina, quasi come se le parole di quel testo fossero il monito di Toni alle nuove generazioni.
Cinico e fragile il personaggio si snoda sotto i cambi di luce che determinano le atmosfere e le intenzioni dei suoi pensieri. Immerso nei suoi quattro o cinque gin tonic, nel tabacco, nella cocaina, e nelle puttane, cerca addirittura di pregare Tony, ma non ricorda neppure un Pater Noster. Gli viene alla mente, piuttosto, un assolato giorno d’inverno di chissà quanti anni fa, in cui mano nella mano con i suoi genitori guarda il mare ancora pulito ed incassa la prima menzogna della sua vita, proprio da parte di coloro che avrebbero dovuto proteggerlo. Il suo sogno è infranto e perciò decide di non svegliarsi più, neppure quando pensa alla vecchiaia che ormai lo assale, neppure quando dice che “la vita è una favolosa rottura di coglioni”, perché lui si concentra sul “favoloso” piuttosto che sulla “rottura di coglioni”, aspettando il giorno in cui in quell’imbuto infernale, capolinea a cui siamo chiamati tutti, ci finisca anche Frank Sinatra.
Antonella D’Arco
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