360°, girotondo di dieci personaggi in cerca d’amore
Le passioni di Schnitzler debuttano al Nuovo Teatro Sanità nell’adattamento di Mario Gelardi che firma la regia insieme a Carlo Caracciolo.
L’amore è un cane che si morde la coda. Lo sapeva bene Arthur Schnitzler, drammaturgo viennese che nel 1897 aveva già pronto Girotondo, pièce persa tra istinti e sentimenti. Il testo, che subì il veto della censura tedesca e aspettò 23 anni per poter essere rappresentato, è il punto di partenza per 360° – Girotondo amoroso, una produzione ntS’, adattamento ai giorni nostri firmato da Mario Gelardi, regista insieme a Carlo Caracciolo. Lo spettacolo in scena il 27, 28 e 29 novembre sul palcoscenico di piazzetta San Vincenzo, si compone di un nutrito cast: nove attori (lo stesso Caracciolo, Riccardo Ciccarelli, Annalisa Direttore, Fabiana Fazio, Annarita Ferraro, Carlo Geltrude, Irene Grasso, Gennaro Maresca, Alessandro Palladino) per dieci tipologie umane e sociali, così come nell’opera originale.
La struttura si mantiene pressoché inalterata: il pubblico è testimone di serrati dialoghi di coppia, anche tra quelle che coppie non sono, non più o non ancora. Di volta in volta i personaggi sono due, due anime messe a nudo con i rispettivi bagagli emotivi e tensioni, non solo sessuali. All’uscita di uno di essi, c’è l’ingresso di un altro, a formare una catena eterna di frustrazione sentimentale e di onesto elogio dell’infedeltà.
Quello che viene messo in scena (molto bene) da ciascun interprete è il gioco delle parti del desiderio: un tira e molla mentale prima ancora che sensuale, un rituale di corteggiamento che si conclude sempre in un rapporto fisico, sebbene solo accennato. Significativamente una simile opera incentrata sulla passione dei sensi riduce al minimo il contatto tra i personaggi: le mani si sfiorano, i volti si avvicinano, i corpi si attraggono, eppure si toccano solo di rado. A dividerli o unirli, una scenografia minimalista di forte potenza simbolica: tavoli immacolati che scorrono a imprigionare o vengono spinti gli uni sugli altri a sublimare quel contatto reale, concreto, così difficile da trovare nel quotidiano. E nulla forse è più quotidiano e universale dell’ambiente di lavoro dove si svolge 360°, un ufficio la cui filodiffusione è un motivetto orecchiabile e sexy, che difficilmente si dimentica e che non basterà canticchiare su Shazam per scoprire di che brano si tratti.
Le relazioni lavorative servono da efficace metafora di quelle sessuali e sentimentali. In effetti, le prime riproducono per iperbole le gerarchie delle seconde: la sottomissione, l’insubordinazione, la noia e l’insofferenza, tutte le sfumature della vita di coppia concentrate in scuri uffici arredati soltanto di bianche scrivanie. La stessa illusione bicromatica è mantenuta nella scelta optical per i costumi. E allora ecco che il bianco e nero sono utilizzati a ricalcare lo yin e lo yang di ciascun personaggio nella sua elegante tenuta da lavoro, in un ufficio che pare ignorare le concessioni del casual Friday.
Se i vestiti restano spesso al loro posto, gli istinti di coloro che li indossano non riescono a non mostrarsi in tutto il loro potenziale ferino, seppur fugacemente. Le sensazioni paiono costantemente sull’orlo della deflagrazione, attraverso una recitazione incalzante e movimenti scenici che nulla hanno da invidiare a vere e proprie coreografie, ma poi si pentono, vengono represse, compresse, gettate sul fondo e mai godute appieno nel loro essere animalesche. E cosa c’è di più animalesco e primitivo dell’istinto del cane che tenta di afferrarsi la coda, girando in tondo? Questo è l’effetto che fa 360°, quello di un carosello senza fine da cui si vorrebbe scendere poiché fa girare la testa, ma di cui si finisce per agognare l’ebbrezza. Una giostra sì giocosa, ma solo nelle attenzioni affettate che i personaggi si rivolgono, nascondendo agli altri e a loro stessi reali intenti e motivazioni. Un girotondo che racchiude in sé una grande dose di insoddisfazione, di attesa per eventi e persone impossibili, ma anche, come sottolinea il titolo, di amore. Perché amare e provare passioni è (anche) aspettare, soffrire, finire inevitabilmente col fare e farsi male eppure voler ricominciare tutto daccapo, ancora e ancora. E per questo tipo di girotondo non c’è epoca storica.
Stefania Sarrubba
Nuovo Teatro Sanità
Piazzetta San Vincenzo, 1 – Rione Sanità, Napoli
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