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Alessandro Gassmann firma la regia de La pazza della porta accanto, malinconico racconto della poetessa milanese che conobbe la libertà travestita da pazzia e seppe viverla.

Gassmann e la Foglietta durante le prove. Fonte foto Ufficio stampa

Gassmann e la Foglietta durante le prove. Fonte foto Ufficio stampa

Elettroshock, sterilizzazione e isolamento dal mondo esterno nella scatola chiusa di un ospedale psichiatrico. Uno spaccato difficile della vita della poetessa dei Navigli sale sul palco del Teatro Morlacchi di Perugia con La pazza della porta accanto, per la regia di Alessandro Gassmann, e vede nel ruolo di protagonista Anna Foglietta che, con grande passione e infinito trasporto, insieme al cast formato da Alessandra Costanzo, Angelo Tosto, Cecilia Di Giuli, Gaia Lo Vecchio, Giorgio Boscarino, Liborio Natali, Olga Rossi, Sabrina Knaflitz, Stefania Ugomari Di Blas, riesce a trasmettere al pubblico quella follia surreale (probabilmente) insita in tutti noi, i pazzi della porta accanto. Incuriositi e attratti da questo impalpabile spazio costrittivo che è la mente della Merini, in occasione della permanenza dello spettacolo in Umbria, dal 24 al 29 novembre, abbiamo incontrato e intervistato l’attrice romana chiedendole di aiutarci a comprendere meglio la complessa personalità della donna-madre-scrittrice chiamata ad interpretare.
Un inferno, quello delle strutture psichiatriche, in cui, asseriva la stessa poetessa, aveva bisogno di ritornare ciclicamente senza riuscire a spiegarne il perché. Lei, in scena, ha vissuto uno spaccato di questo “doloroso travaglio”. Come lo ha percepito e quanto le è rimasto dentro?
L’ho percepito per la sua interezza. Alda Merini quando è stata rinchiusa, allora, aveva la mia stessa età, 36 anni, era madre di due figli e io ne ho tre, non sono una poetessa ma sono comunque un’artista per cui, come lei, riesco a capire cosa significhi dover essere privati dei propri affetti ed avere una sensibilità tale che ti permette di codificare tutto quel dramma in maniera maggiore. Alcune persone si fanno poche domande. La Merini è una di quelle che si è sempre fatta mille domande e tutte drammaticamente giuste. L’essere finita in un manicomio con un disturbo (ovviamente) psichiatrico ma non tanto invalidante da giustificare, appunto, un internamento, ha fatto sì che il suo dramma fosse da lei vissuto in maniera ancor più profonda e radicata. Questo mi è rimasto dentro, continua a rimanermi dentro e lo continuo a rivivere ogni sera in maniera sempre molto profonda e dolorosa. Non puoi non farlo. Sul suo aver bisogno di tornare ciclicamente nella struttura, se non è riuscita a rispondere la Merini, vorrei, in parte ed umilmente, provare io. Per me è evidente che di un mondo come quello del “manicomio”, per quanto drammaticamente truce e violento, soprattutto negli anni Sessanta e Settanta, lei ne aveva bisogno perché, lì, comprendeva e si sentiva compresa. Inoltre, il “manicomio” le ha permesso così tanto di toccare la profondità della propria anima, della propria essenza, del proprio dolore, da fornirle materiale di ispirazione infinito. È come quando la vittima paradossalmente comincia ad amare il proprio carnefice. Si crea, per quanto doloroso sia, un rapporto di comprensione reciproca.

Gassmann e la Foglietta durante le prove. Fonte foto Ufficio stampa

Gassmann e la Foglietta durante le prove. Fonte foto Ufficio stampa

Innamorata perennemente della vita, Alda Merini trova il modo di innamorarsi di un giovane paziente ricoverato all’interno dell’Istituto psichiatrico. Secondo lei è un amore “malato” o più sano e veritiero di quello vissuto nel quotidiano dalle persone “normali”?
L’amore quando nasce non è mai malato. L’amore, in alcuni casi, poi si trasforma in “malattia”. Quello che nasce all’interno della struttura in quegli anni tra queste due anime perse, quasi fanciullesche, è qualcosa di straordinario, sublime, emozionante. La felicità all’interno di una struttura così tragica e infelice suona ancora più drammatica. Ho sempre immaginato questo loro rapporto come qualcosa di estremamente vero e mai vissuto come un amore malato. È un amore. Due persone si sono trovate e hanno deciso di fidarsi l’uno dell’altra e questa è una grandissima prova d’amore. La diffidenza è la prima cosa che proviamo, non ci si fida di nessuno per paura di soffrire, quindi lasciarsi andare vuol dire darsi completamente. Esistono amori più “malati” tra persone paradossalmente normali.
La Merini “spacca” la borghesia con un linguaggio, a volte, crudo e forte. Tra “follia”, fragilità e durezza, quanto è stato difficile rapportarsi con questa incredibile capacità della poetessa di mettersi a nudo?
La Merini ha un’immediatezza nel linguaggio e una corrispondenza visiva tale da non dover per forza andarne a sviscerare le trame. Lei è diretta e quando c’è questa assoluta schiettezza si vince sempre e comunque. Quando una persona ha la forza del dire la verità e nel dirla, questa verità, è urlata non si può che darle ascolto. La borghesia non può esistere per una come Alda Merini. Non c’è una vera  frattura con essa perché lei è al di sopra delle parti, è “un’aristocratica” del pensiero. È una donna talmente altolocata e sofisticata che la borghesia, semmai, davanti a lei e alla sua potenza sparisce. È la poetessa degli ultimi, degli umili, dei barboni, dei senzatetto, dei malati, degli psicopatici, dei nevrotici ma, contestualmente, se la collochi in un salotto della “Milano bene” , anche lì lei tiene banco a tutti. Lei ha la verità della parola.

Una scena. Fonte foto Ufficio stampa

Una scena. Fonte foto Ufficio stampa

Sul palco (da una nota del regista Alessandro Gassmann) c’è un impianto scenico che “ripropone la claustrofobia di un reparto psichiatrico”. Lei, chiusa in questa “scatola” come si è sentita? Ha assaporato la reale paura di questa claustrofobia emotiva?
Secondo me Alessandro ha avuto un’idea scenica molto efficace e vincente. Più che di claustrofobia si tratta di costrizione e di gabbia. È incredibile come queste pareti si spostino diventando quasi una dimensione mentale più che fisica. Danno proprio il senso “dell’ingabbiamento” che è una cosa diversa. A me la cosa che più ritorna ogni sera, in forma potente, grazie appunto a questa invenzione di Alessandro, è come quello che noi rappresentiamo è una rivisitazione della mente della Merini, il suo ricordo di quel luogo e quindi, come tale, filtrato da ciò che lei vuole o non vuole raccontare. Un ricordo di quell’ambiente che passa da livelli onirici a livelli lirici, surreali. È molto bello.
Nonostante tutto ciò si è affermata come una delle voci poetiche più importanti ed amate del Novecento. È accaduto perché, alla fine, siamo un po’ tutti, nel nostro quotidiano, i pazzi della porta accanto?
Si e mi viene da dire mano male! Io spero davvero che le persone abbiano la voglia e la volontà di accettare la “pazzia” che è dentro di noi. Tutti abbiamo una storia, un pregresso familiare, un dramma inenarrabile. Ognuno di noi porta in sé un piccolo dolore con il quale convive e che ci rende un po’ folli. Mi piacerebbe se il mondo (tutto) lo accettasse serenamente perché l’imperfezione rende gli esseri umani veramente unici e belli.

Anna Foglietta. Fonte foto web

Anna Foglietta. Fonte foto web

Parliamo di lei ora. Una carriera che l’ha vista apprezzata sia dal pubblico del piccolo e grande schermo che da quello seduto in platea. In teatro l’approccio è diverso perché  il contatto con lo spettatore è più immediato ed è  più difficile nascondere un errore o un’emozione. Qual è l’ambiente che Anna Foglietta sente più suo?
Faccio cinema da tanti anni quindi il cinema è decisamente casa mia ed è in assoluto il mio ambiente. Ritornare a teatro, però, è stato per me un po’ come riaprire un vecchio baule e assaporarne la polvere. È un’emozione fortissima con la quale sto riprendendo confidenza e che mi sta piacendo sempre di più. Gassmann sostiene che, dopo questa esperienza, non potrò più farne a meno. Forse è così ma non posso rinnegare il grande schermo e affermare che il teatro è migliore. Sono due situazioni completamente diverse. Vero è che, se uno spettacolo teatrale è fatto veramente bene, è un’esperienza unica che non vale nessun film. Questo perché un film ha sempre una mediazione perciò, nonostante possa essere eccezionale, non ti permetterà mai di “toccare” l’attore, di vederne la lacrima o il sudore. Il “vivo” del teatro rende il momento unico. Anche qui, vedere il teatro Morlacchi così gremito, nonostante il freddo di questi giorni, la crisi economica che attraversiamo, è stato per me magnifico, sono rimasta sbalordita. Il pubblico di Perugia è un pubblico incredibile.
L’interpretazione più difficile da affrontare e quella invece che l’ha gratificata di più?
Coincidono. È questa de La pazza della porta accanto. Alda Merini è un insieme di molti ruoli. Un personaggio che, una volta interpretato, ti porta a pensare di dover smettere di recitare perché hai raggiunto il massimo che si possa ottenere in questo campo. È una donna talmente completa che all’attrice offre ogni sera la possibilità, una volta che l’hai fatta tua, di divertirsi ed esprimersi tanto. Ti dà grande appagamento ma anche dolore, perché riviverla tutte le sere è dolorosissimo. Io ne esco distrutta, non è facile. Non so come spiegartelo. In questo spettacolo ho sentito una particolare immedesimazione. Io e la Merini “ci amiamo”, c’è una grande complicità, uno scambio importante tra me e lei. La sento sempre molto vicina ogni sera, durante ogni replica. Una sfida. Considera poi che la Merini è, per tutti i versi, quanto di più distante esista da me. Io sono una persona, sì con un briciolo di follia, come dicevo prima, lo ammetto, ma equilibrata, soddisfatta nella mia vita familiare, sposata, ho tre figli e una bella carriera che amo.
Per concludere, il sogno nel cassetto di Anna bambina si è realizzato o ci sono altre strade che vorrebbe percorrere in questo ambiente? Regia, scrittura di testi o altro?
Assolutamente no. Non potrei fare altro. Non ho altre ambizioni se non quella di continuare a fare l’attrice per il resto della mia vita. Il sogno nel mio cassetto si continua a realizzare ogni giorno e, come ripeto spesso, mi reputo una persona estremamente fortunata e sono grata alla vita.

Francesca Cecchini

Teatro Morlacchi
Piazza Morlacchi 13, Perugia
Contatti: 075.575421 – 075.57542222 – www.teatrostabile.umbria.it

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