Il futuro apocalittico d’Europa secondo Santeramo/Sinisi
Al Teatro India di Roma, la scrittura di Michele Santeramo e la regia di Michele Sinisi raccontano l’ipotetico (forse) domani prosciugato e disumanizzato del Vecchio Continente.
La drammaturgia di Michele Santeramo ha incontrato (dal 7 al 10 gennaio) al Teatro India l’occhio di Michele Sinisi, co-interprete insieme a Elisa Benedetta Marinoni, nella messinscena di “Scene di interni dopo il disgregamento dell’Unione Europea”: immagine distopica dell’UE munita di gittata preventiva a cinquant’anni da oggi, e riflessioni consuntive di un passato (a noi) recente, che propone ritratti di famiglia in interno quale riverbero effettivo di pubbliche colpe politiche, sociali ed economiche.
Va innanzitutto notata l’interessante costruzione narrativa di Santeramo che, alla maniera dei Tradimenti di Pinter, fa correre in senso opposto il “tempo della storia” dal “tempo del racconto” – per utilizzare termini cari a Gérard Genette -, iniziando in un futuro (ipotetico, ma non troppo) di cupi toni post-apocalittici datato 2065, per terminare nel passato, quello del 2002, “l’anno più importante” che mise in circolazione l’euro: l’inizio della fine.
Nel nome del profitto, degli interessi, dell’inflazione, della speculazione, l’unione basata sulla moneta comune, sul soldo, più che sui valori civili, storici e culturali degli Stati, è la causa di un progressivo soffocante sistema costrittivo a lento rilascio – pensato da pochi ai danni di molti – i cui effetti collaterali a lungo termine si rivelano nell’irreversibile impoverimento e imbarbarimento fisico e morale, drammaticamente e inevitabilmente accettato, banalizzato.
A rappresentare e cadenzare il susseguirsi di sinistri e collettivi eventi, una coppia, Alberto e Silvia (Sinisi-Marinoni): sopravvissuti di quel che resta di un’umanità cinica e anestetizzata; voce di seri e ironici battibecchi matrimoniali specchio di abitudini quotidiane fatte di aggressioni per un pacco di pasta rubato al supermercato, di sfogo dei più bassi istinti con chiunque e in qualsiasi situazione, e di squallidi baratti di effusioni in cambio di qualche pezzo di pane raffermo. Un uomo e una donna che vediamo per la prima volta da anziani ormai adattati e condannati abitanti di questo mondo decomposto, e che impariamo a conoscere seguendoli nel loro ringiovanimento, tra complicità reazionarie e latitanze, tra litigi e rappacificazioni, fino all’innamoramento tardo-adolescenziale, imbarazzato, genuino, inconsapevole.
Lo spazio concepito da Sinisi ci immerge in un luogo ruvido, ferroso, schiacciato da ombre e chiaroscuri, che la scenografia di Federico Biancalani taglia con un separè/lavagna mobile di plexiglas trasparente (attraversato, raggirato, scavalcato), al cui lato è appeso un grande “identikit” dello stesso protagonista: ricercato perché ribelle a una (in)giustizia che porta sulla coscienza suicidi di massa, usuranti angherie bancarie e illeciti quanto ripugnanti intrighi politici.
Gli interpreti ben mantengono, con ritmico e resistente vigore, il continuo intreccio dialogico, a cui la regia dello stesso Sinisi inietta una dose un po’ troppo elevata di iperattività fisica che impegna gli attori in molti movimenti necessari per cambi d’abito, spostamenti di oggetti più o meno ingombranti, ampi attraversamenti della scena. Ne deriva un senso di urgenza del narrare che poco per volta rischia di divorare velocemente un testo stratificato e ricco di sfumature tematiche sulla realtà odierna, che meriterebbe un respiro rappresentativo meno inquieto.
Nicole Jallin
Teatro India
Lungotevere Vittorio Gassman – Roma
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