Dalla parte di Zeno, senza limiti
In prima assoluta al San Ferdinando, fino al 7 febbraio, Valeria Parrella firma uno spettacolo dalla scrittura ambiziosa che si immerge nella mente del protagonista valicando i limiti del concreto e, fisicamente parlando, del palcoscenico stesso.
Per mesi abbiamo inneggiato a quel piccolo capolavoro del cinema di animazione che è Inside Out, il film della Pixar che ha dettato legge presso i botteghini di tutto il mondo. Mentre ciò accadeva, qualcosa di molto simile stava prendendo forma in casa nostra. Stavolta siamo a teatro, l’ambientazione è il luogo fisico e materiale di una sala e a supportare la messa in scena di quanto accade nella mente di un uomo in psicanalisi ci sono il palco e gli elementi di scena stessi. Eppure l’intuizione è quella. Non ce ne voglia Valeria Parrella per questo accostamento ultra pop, che lei riterrà probabilmente inappropriato, la verità è che non genera grande scalpore, semmai piacere, constatare che due forme di rappresentazione così vicine e così diverse come quella cinematografica e teatrale, trovino la medesima valvola di sfogo nel desiderio di offrire al pubblico la suggestione di una personificazione delle sensazioni, dei sentimenti, di quanto la mente umana sia capace di produrre. Come vi fosse una sete di comprensione dell’argomento ipertrofizzata in questo momento storico, sempre per quella deriva contemporanea che vuole ci si sia abituati a guardare troppo al di fuori di noi, finendo inesorabilmente per trascurarci dentro.
Perseverando nell’errore di percorrere il parallelismo di cui sopra, si dirà che Dalla parte di Zeno, lo spettacolo ideato e scritto da Valeria Parrella e diretto da Andrea Renzi, in scena al teatro San Ferdinando di Napoli dal 20 gennaio al 7 febbraio, rispetto a un film d’animazione ha un valico in più da superare (ascrivibile alla lista dei meriti, se superato): deve dare all’universo della mente di un uomo una parvenza reale, una connotazione e una collocazione fisica nello spazio. In questo gioco di valichi che si superano, di barriere che si oltrepassano, risulta decisamente felice l’intuizione registica di Renzi di collocare aldilà dei limiti teatrali naturali del palco i personaggi che abitano la mente di Zeno Cosini. Il riferimento a Svevo non è casuale e isolato, Valeria Parrella attinge a piene mani dagli scritti dell’autore di inizio ‘900, convertendolo naturalmente nella sua lingua, che oltre a vernacolo è tradizione, proverbio, riferimento geografico. Il paesaggio emotivo e psicologico del protagonista si trasforma in un condominio che si estende in tutta la sala, abitato da quelli che si potrebbero definire dei topos della psicanalisi.
Le tante vite di Zeno popolano la platea, la rendono partecipe, sono un segnale inclusivo indirizzato al pubblico: «Sono i miei sentimenti – dice Zeno, in psicanalisi per problemi legati principalmente agli anni della sua infanzia – ma vedete che sono pure i vostri, perché potranno avere nomi diversi ma sono gli stessi, c’è poco da fare». La messinscena finisce, così, per essere un racconto di formazione in piena regola: un viaggio nella mente di Zeno e, al contempo, nella nostra, al termine del quale si intuisce che la risposta a tutto, anche se si hanno quarant’anni, è l’esperienza. Quella mancata o quella fatta sono la chiave di tutto e i rivoli di pensiero non possono che confluire in questo solo estuario.
Quali difetti potrebbe avere un esperimento di scrittura così sinergicamente accolto da una regia teatrale altrettanto intraprendente? Non di certo gli attori della compagnia – con la convincente prova di Giovanni Ludeno nei panni di Zeno – tutti a loro agio nei rispettivi ruoli (Alessandra Borgia – estetista / seconda amica di Zeno, Carmine Borrino – ragazzo/amico di Zeno, Giorgia Coco – ragazza/collega di Zeno, Antonello Cossia – psicologo/amministratore di condominio, Valentina Curatoli – figlia, Cristina Donadio – moglie, Mascia Musy – preside/sorella di Zeno, Antonella Stefanucci – inquilina/prima amica di Zeno e Tonino Taiuti – portiere). Forse sono opinabili i toni saltuariamente didascalici, il lieto fine che presume un punto d’arrivo anziché un punto interrogativo (e si sa, quando si tratta della mente umana la parola “possibilità” spedisce in panchina “certezza”), l’idea stessa che un finale possa esserci e che la psicanalisi da strumento assuma i tratti della soluzione. O ancora, se proprio si vuol trovare il pelo nell’uovo di uno spettacolo che funziona, si avverte l’impressione di un fisiologico prevalere della scrittura narrativa su quella teatrale. Difetto di forma che, qualora fosse confermato, non potrebbe di certo essere contestato con eccessivo rigore ad una scrittrice di romanzi.
Andrea Parrè
Teatro San Ferdinando
Piazza Eduardo de Filippo, 20 | 80139 Napoli
Contatti: www.teatrostabilenapoli.it