“Some Girl(s)” e le oscure coscienze di Neil LaBute
Con tre settimane di repliche al Piccolo Eliseo di Roma, Marcello Cotugno dirige gli scomodi incontri con il passato di un “old boy”.
Durerà fino al 14 febbraio al Piccolo Eliseo la tappa romana di Some Girl(s), messinscena, firmata da Marcello Cotugno, della sottile, ruvida e amara commedia del drammaturgo statunitense Neil LaBute. Un faccia a faccia, in commistione testuale di sarcasmo e dramma interiore, con la volontà vagamente ipocrita ed egoistica di Guy, scrittore dalle serie aspirazioni e promesso sposo sulla quarantina (con fisionomia interpretativa di Gabriele Russo), di rivedere alcune ex fidanzate per appianare gli errori dei tempi che furono, ovvero incomprensioni interrotte, tensioni irrisolte, distacchi crudeli, vigliacche sparizioni.
Cinque le fortunate partner da ritrovare (quattro in scena più una “fuori campo”, online, disponibile su www.bit.ly/Part4reggie) che segnano le tappe di un itinerario attraverso altrettante città americane con appuntamento in camere d’albergo (la cui concezione scenica di Luigi Ferrigno prevede di distinguerle per mezzo di suppellettili ricollocabili e diverso cromatismo luminoso). È il ring di incontri/scontri seriali tra un collezionista di cuori spezzati, provato da recidivo sadismo verso sentimenti femminili, e quattro portatrici di antiche lacerazioni amorose ormai più o meno cicatrizzate.
Una turnazione di consuntivi relazionali, introduce personalità (il cui tratto stereotipato è marcato da un’aggiunta nota ironica di regia) “sopravvissute”, fortificate, martoriate, liberate: c’è la liceale infatuazione ora rinata doloroso e sconvolgente cruccio emotivo nella quotidianità ordinaria di una madre e moglie pacata e devota (Laura Graziosi). C’è la carnale attrazione persistente – ora come allora – per un alter ego (Bianca Nappi – qui l’intervista) di sensualità aggressiva e smaliziata, sostenitrice di rapporti di coppia senza impegno. C’è l’orgoglio di essere amante extraconiugale di una docente universitaria in carriera (Roberta Spagnuolo), prima soggetto lusingato di attenzioni giovanili e ora sfogo nevrotico di intimità sedotte e dimenticate. C’è l’apparente sincero attaccamento all’amore sofferente – un tempo – di una dottoressa (Martina Galletta), da lei ora rinfacciato, curato, superato.
E c’è una profondità drammaturgica, rivelata anche, va detto, nell’energica e costante verve recitativa e nella precisione registica, che invita a scoprire, dentro il molteplice percorso di vita a ritroso, una progressiva apertura di letture interpretative che partono dal ripetersi di situazioni simili per svelare, nell’intreccio delle stesse, scuri lembi (di uomo e di donna) caratteriali, comportamentali, emotivi, neuronali: umani. Prendono forma dinnanzi a noi, tra i passi sui tacchi delle storie richiamate, i ricordi dissepolti e ricondotti al presente, l’assurdo ricongiungimento con remoti legami, e delineano una spirale di coscienza interna, un vizioso circolo mentale di masochistica ossessione affettiva (con tratti patologici alla Norman Bates), e colpe che si ritorcono compulsive nella testa di chi le ha commesse, come un ghigno di condanna.
Nicole Jallin
Piccolo Eliseo
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