“Due donne che ballano” sul brivido dell’emozione
Al Teatro India di Roma, Veronica Cruciani dirige Arianna Scommegna e Maria Paiato in un commovente incontro/scontro quotidiano.
Ci sono cose che vanno dette subito, senza giri di parole, senza inutili attese. Questa è una di quelle: Arianna Scommegna e Maria Paiato, le Due donne che ballano dirette da Veronica Cruciani, al Teatro India di Roma fino al 7 febbraio, sono semplicemente magnetiche, imponenti, struggenti. E sono interpreti di un testo del catalano Josep Maria Benet i Jornet (con traduzione di Pino Tierno) che spacca la quotidianità di una casa qualsiasi, di un luogo qualsiasi, e di una storia, anzi due, qualsiasi: quella di un’anziana signora (Maria Paiato), relegata alla noia casalinga e alla lettura di fumetti, un tempo femminista (ma non troppo) e ora sola e (volontariamente) bisbetica; e quella della sua badante, una laureata (Arianna Scommegna) che sbarca il lunario con scolastiche lezioni letterarie e pulizie a domicilio, e che cova da tempo una certa avversione alla vita e agli uomini.
Su produzione del Centro d’Arte Contemporanea Teatro Carcano, la messinscena di Veronica Cruciani è una lama che penetra il fulcro drammaturgico del rapporto scontroso, ruvido, spigoloso, e così intimo, vero e sincero delle due donne, per estrarne, con gesto di veemenza chirurgica, l’essenza umana dell’unione di due caratteri apparentemente opposti e interiormente simili, la serafica danza emotiva di due personalità dedite a progressivi battibecchi, a conversazioni restie, a reciproche accuse, a graduale accoglienza, istintiva confidenza, autentica familiarità. Fa da cornice lo spazio domestico pensato da Barbara Bessi (un soggiorno spartano, con tavolo anni ’50, sedie, veranda esterna, e una libreria stipata di giornalini), nel quale le luci di Gianni Staropoli e le musiche di Paolo Coletta ritmano il passare del tempo e degli atti. Una realistica fotografia ad acquarello che rende tangibile la solitudine, il silenzio e l’assenza che piombano minacciosi a ogni chiusura di porta, a ogni fine atto, a ogni temporaneo addio.
Senza suoni non c’è umanità; senza incontro e senza parola s’interrompe lo scorrere della vita. Perché la parola – che è sfogo, che è urlo, che è sussurro, che è non-detto – è qui solido strumento d’espressione emotiva. Perché l’incontro – che è contatto, distanza, confronto, collisione – è qui legame esistenziale non programmato, non voluto, non necessario, eppure fatalmente sanguigno, genitoriale, simbiotico, fino alla fine.
Parla per ricordi, la vecchia. Srotola discorsi per stuzzicare l’altra a vuotare il sacco del suo passato: agisce e reagisce per affettuoso sentimento conoscitivo più che per pura curiosità senile, e lo fa con una scarica d’ironia che la Paiato rende possente, calibrata, mai volgare, mai inappropriata, nemmeno quando il dramma investe la scena di commozione. Parla per frasi spezzate, la giovane. Risponde per tono schietto, diretto, duro, e libera, nella forte e solenne presenza di pancia, di cuore e di pensiero della Scommegna, una voce di madre interrotta da un dolore che non ha sollievo, che non ha lemmi, perché non si può descrivere, né spiegare, né condividere. Né sopprimere.
E se l’alchimia recitativa della coppia attoriale trasforma tutto ciò in brivido epidermico, il tocco preciso e tagliente della regia tira fuori l’anima di un rapporto femminile tanto burbero e scorbutico, quanto passionale e indissolubile, che travolge, che scuote da dentro, che disorienta come raramente accade. E per riprendersi ci vuole un po’.
Nicole Jallin
Teatro India
Lungotevere Vittorio Gassman – Roma
Contatti: 06 684 00 03 11/14 – www.teatrodiroma.net