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In equilibrio tra ricordi e canzoni, le parole del cantautore genovese hanno risuonato al Nuovo Teatro Sanità il 6 e 7 febbraio, nel racconto in musica e parole di Carlo Vannini e Giosi Cincotti.

Foto Vincenzo Antonucci

Foto Vincenzo Antonucci

“Io sono uno/che parla troppo poco,/questo è vero,/ma nel mondo c’è già tanta gente/che parla, parla, parla sempre,/che pretende di farsi sentire,/e non ha niente da dire.”

Aveva tanto da dire Luigi Tenco, e con le sue canzoni ha dato voce a infinite parole ed emozioni – quelle di chi come lui, parafrasando un suo verso, non pretende l’ascolto nonostante i mille pensieri da condividere – continuando a farlo ancora oggi se, nei quasi 50 anni trascorsi dalla sua morte, diversi sono gli omaggi e i tributi a lui dedicati. Io sono uno – Luigi Tenco, storia di un acchiappanuvole andato in scena per la prima volta al Nuovo Teatro Sanità il 6 e 7 febbraio, è uno spettacolo musicale che Carlo Vannini, ideatore e protagonista insieme a Giosi Cincotti al piano e alla fisarmonica, ha dedicato al cantautore costruendo un percorso tra canzoni e ricordi, con la consulenza drammaturgica di Rosa Masciopinto e la regia di Gennaro Cuomo.
L’autore e il regista hanno voluto portare sul palco non solo la figura dell’artista, quel paroliere e musicista che seppur nella sua breve carriera, ha composto circa 100 brani, inciso 3 album e partecipato a 4 film, ma anche dell’uomo che rivive la sua infanzia, il rapporto con la famiglia, gli amici e le prime esperienze musicali, gli amori, i successi, le delusioni e gli ultimi turbamenti prima dell’uscita di scena.
Siamo negli anni ’60, quei favolosi anni ’60 che sono stati il compimento del processo di rinascita iniziato nel decennio precedente, l’esplosione piena di suoni, novità, benessere e vitalità dopo il periodo buio e di ricostruzione post bellico. Arrivano i frutti del il boom economico, tra le numerose innovazioni tecnologiche la televisione fa il suo debutto, la radio diventa compatta, escono le musicassette e si viaggia ascoltando l’autoradio, si affermano i media e il loro potere divulgativo e condizionante, il modello perfetto di vita benpensante e borghese imperante negli anni ’50 viene sconvolto dall’emancipazione e dalle contestazioni giovanili, dalla minigonna e dai capelli lunghi, e dalla voglia di manifestare le proprie idee e il proprio dissenso nelle piazze che diventano così un palcoscenico importante di proteste e tragedie.

Foto Vincenzo Antonucci

Foto Vincenzo Antonucci

Alla stregua degli sconvolgimenti socio-politici, anche la musica subisce dei veri e propri stravolgimenti: il rock viene soppiantato dal movimento beat, arrivano i Beatles e i Rolling Stones, si affermano lo stile country e folk di Bob Dylan e Joan Baez, in Italia si passa dai melodici, agli urlatori, ai complessi beat e ai cantautori cosiddetti impegnati, da Claudio Villa si arriva all’affermazione della Scuola genovese a cui appartengono cantautori cresciuti e nati musicalmente a Genova come Umberto Bindi, Fabrizio De André, Sergio Endrigo, Bruno Lauzi, Gino Paoli e lo stesso Luigi Tenco. Il cui essere un giovane uomo in un periodo di grandi rinnovamenti, incarnazione dalle mille sfaccettature di un animo sensibile e inquieto, propenso alla sincerità musicale e caratteriale anziché all’edulcorata costruzione di un personaggio in linea con l’affettato buon costume, secondo gli stereotipi a cui l’uomo spesso tende spinto dalla società, così come lui stesso dichiara – “E io invece voglio essere una figura vera, con le sue idee, sbagliate o giuste che possono apparire. E con quale metro giudicarle, con quello del conto in banca? Bene, lascio volentieri ad altri questo sistema metrico. A me non importa nulla di essere ‘integrato’ nel sistema organizzativo” –  lo fa essere naturale esempio e riferimento ancora oggi, quando senza difficoltà ci si ritrova in sintonia col suo pensiero ed emotivamente coinvolti dai suoi testi.

Foto Vincenzo Antonucci

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“Io sono uno/che sorride di rado,/questo è vero,/ma in giro ce ne sono già tanti/che ridono e sorridono sempre,/però poi non ti dicono mai/cosa pensano dentro.”

Lontano dall’essere l’uomo solitario a cui può una superficiale conoscenza portare a credere, Tenco è ironico e pungente nella vita e nelle sue canzoni, così come ce lo racconta Vannini il quale, aiutato già da una fisionomia straordinariamente simile, ricostruisce a partire dallo sguardo l’aspetto umano e privato del cantautore facendoci rivivere quegli storici pomeriggi musicali durante i quali i più grandi cantautori della scuola genovese si ritrovano come semplici amici a far musica e a far la storia della musica italiana, o quelle serate di movida milanese nelle quali gli stessi amici si incontrano per giocare a poker; e allo stesso tempo ci fa ripercorrere la carriera artistica di Tenco, grazie alle sue lodevoli doti musicali sia come cantante che come musicista, facendoci sorridere con brani come La ballata della moda (uno dei vari componimenti satirici e misconosciuti che all’epoca sono stati interpretati solo in TV per uscire poi in dischi postumi), o emozionare con i grandi singoli come Mi sono innamorato di te.
L’indubbia bravura di entrambi i protagonisti in scena, permette al regista di poter costruire un essenziale ma poetico dipinto di un artista che ha fatto la storia con le sue preziose note e con la forza e la coerenza delle sue idee fino alla fine, e che ci ha lasciato in eredità suoni e parole per continuare sempre ad emozionarci, esattamente così come lo canta uno dei suoi amici, Fabrizio de Andrè: “Meglio di lui nessuno/mai ti potrà indicare/gli errori di noi tutti/che puoi e vuoi salvare./ Ascolta la sua voce/che ormai canta nel vento/Dio di misericordia/vedrai, sarai contento.”

Irene Bonadies

Nuovo Teatro Sanità
Piazzetta San Vincenzo, 1 – Rione Sanità, Napoli
Contatti: 3396666426 – info@nuovoteatrosanita.it – www.nuovoteatrosanita.it

 

 

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