Solitudini in fuga verso “Nessun luogo è lontano”
Il Teatro Argot Studio di Roma è spazio di incontri involontari tra anime scomode, nello spettacolo firmato da Giampiero Rappa.
Fino al 21 febbraio, la piccola sala dell’Argot sarà adibita a baita di montagna, a covo di accoglienza rustica, a rilassamento psico-fisico dai rumori dell’essere. Sarà teatro di Nessun luogo è lontano, scritto, diretto e co-interpretato da Giampiero Rappa, per realizzazione di Argot Produzioni, ovvero meta di fuga impulsiva dal mondo e buen retiro dal logorio della vita sociale.
Lui, Mario (Rappa), noto scrittore – ma ormai ha smesso – di mezz’età, burbero, scontroso, rigido, scappato scandalosamente dalla cerimonia di un premio letterario tanto importante quanto ipocrita, lascia a valle legami di parenti e amici in cambio della tranquillità, cioè del silenzio di un non-luogo isolato, inospitale e disabitato (eccetto una coppia di contadini), qui disegnato da un realistico ritratto d’interno con camino (il legno la fa da padrone su pareti, tavolo, sedie, arredo e infissi) per concezione di Francesco Ghisu.
In questo piccolo paradiso senza coordinate, Mario è al sicuro, in pace, perché lontano da tutto e da tutti, perché irraggiungibile anche dai mezzi di comunicazione, perché al riparo da ogni pregio e difetto umano. A scombussolarne i piani, però, l’arrivo di Anna (Valentina Cenni), giornalista con l’incarico di intervistarlo, determinata e instancabile reporter di guerra; e di Ronny (Giuseppe Tantillo), nipote ventenne, allegro per filosofia di vita ed effetto di marijuana, in cerca d’asilo dai dolori familiari. Saranno i detonatori di un progressivo cortocircuito emotivo e psichico che la drammaturgia innesca sottilmente nell’intimità dell’uomo. Alla recitazione l’onere – ben portato a termine dai tre interpreti – di non palesare con le parole, di non semplificare con spiegazioni verbali, di non cedere alla confessione esplicita dei sentimenti, dei contrasti interiori, della stancante resistenza all’autoimposto anomalo rigore esistenziale, ma di sfiorare la nevrosi irreversibile, di deglutire la tensione isterica e soffocare l’istinto reattivo volto a una rottura relazionale definitiva.
C’è dunque un procedere per “senso unico alternato”, dove le azioni scalfenti, le provocazioni recidive, e gli insulti sputati fuori dai denti da una sempre più acuta intolleranza all’apatia muta perseverata dall’intellettuale – perché il silenzio è una forma di violenza -, concorrono, allo stesso tempo, sia a minare la pazienza reciproca dei personaggi (caratterialmente poco compatibili, il che è spunto d’ispirazione drammaturgica per giuste interazioni ironiche e scherzose), sia a rafforzarne l’attaccamento affettivo e mentale, involontario e sincero.
Rappa-Cenni-Tantillo tengono alto un ritmo di “botta e risposta” – con incursioni musicali composte da Stefano Bollani – che associa scambi umoristici, attese afone, e invasioni drammatiche, mentre nel sottotesto si fanno largo riflessioni, pensieri e quesiti sulla necessità del singolo di prendere le distanze dagli altri, di allontanare il resto dell’umanità per ritrovare la propria, d’interrompere la recita della vita, quella decisa dalla società con le regole e ruoli che tutti dobbiamo rispettare (fanno eccezione due categorie, legittimate per lavoro a uscire dalla parte: i matti e gli attori).
Si riflette con allegria nella pièce di Rappa. E, nonostante si allenti un po’ la tensione verso il finale con un’evoluzione tutto sommato prevedibile, resta un eco interrogativo rivolto a noi, alla nostra quotidianità, alle irrinunciabili comodità scontate, alle abitudini – o forse assuefazioni – tecnologiche che ci rendono solitudini di massa, che catalizzano dita, occhi e neuroni su schermi luminosi, che spacciano per concrete le relazioni virtuali. Si rifugia anche da questo, Mario. Ma allora chi è davvero asociale: un eremita d’alta quota senza telefono, o migliaia di social-dipendenti che s’incontrano solo in rete? E quanti – sinceramente – hanno resistito a non guardare Facebook durante lo spettacolo?
Nicole Jallin
Teatro Argot Studio
via Natale del Grande, 27, Roma
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