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In scena al Teatro Diana di Napoli fino al 21 febbraio, la seconda pièce del ciclo “Grandi Italiani”, un successo (non) annunciato nato anche per ricordare i tesori linguistici, paesaggistici e naturali della nostra Italia.

Foto Filippo Manzi

Foto Filippo Manzini

Si parta col dire che, degli ultimi spettacoli cui abbiamo avuto modo di assistere, il Decamerone: vizi, virtù, passioni di Marco Baliani ci è sembrato di gran lunga, nella sua replica di venerdì 12, quello capace di raccogliere il pubblico più ampio (con una platea ultra-affollata in ogni sua parte) e il maggior numero di applausi a fine rappresentazione. Merito indubbio di tale successo è la presenza, nel cast in scena, di quello Stefano Accorsi star del cinema e della tv che, smessi i panni del pubblicitario Leonardo Notte in 1992, ha trovato il tempo di concentrarsi sul secondo atto di un trittico che ha già portato sul palcoscenico l’Orlando di Ariosto e che si concluderà con il Principe di Machiavelli (un ciclo, quello dei “Grandi italiani” voluto e realizzato dallo stesso Accorsi, con la regia di Marco Baliani e la supervisione di Marco Balsamo). Progetto evidentemente meritorio negli intenti, che prova nel suo piccolo (e lo dichiara apertamente all’inizio di questo Decamerone) a risollevare il pubblico dalla “pestilonza” morale in cui è costretto a vivere da una società degradata fino al midollo.

Foto Filippo Manzini

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L’artifizio narrativo utilizzato è quello di una compagnia teatrale itinerante desiderosa di ripercorrere sette delle più famose novelle boccaccesche con il solo ausilio di un pullmino Volkswagen che costituisce anche l’unico elemento (cangiante, tuttavia) della scenografia. L’italiano utilizzato da Maria Maglietta (autrice della drammaturgia) è a metà tra quello di Boccaccio e quello odierno: la scelta, non ovvia e anzi coraggiosa, riesce a restituire la distanza temporale che ci separa dall’autore di Certaldo senza per questo sacrificare la comprensibilità di quanto avviene sul palco; le parole più desuete, dunque, sono oggetto di spiegazione (e di gag correlata), così da non perdere nessuno spettatore per la strada. La sensazione, alla fine, è quella di un mondo lontanissimo (nell’abbigliamento, ricreato dai costumi di Carlo Sala, e nella lingua) eppur vicino al nostro nei “vizi, virtù e passioni” di cui al titolo, autentico oggetto delle novelle di Boccaccio, che pur a distanza di sette secoli si rivela una volta ancora conoscitore profondo dell’animo umano e narratore formidabile; la briosa regia di Baliani e la celebrità di Accorsi sono allora gli strumenti per riscoprire i malanni di Calandrino e le disavventure di Masetto da Lamporecchio, i dolori della giovane Lisetta da Messina ed il conflitto tra Tancredi e la figlia Ghismunda.

Foto Filippo Manzini

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Il risultato sono quasi due ore di sorrisi e riflessioni (oltreché di qualche sonora risata), che grazie al gioco metateatrale messo in atto scorrono senza affanni, concedendosi di tanto in tanto il retrogusto amaro della critica alla società e al potere costituito.
Giusta menzione va data sicuramente, per la riuscita dell’adattamento, al cast femminile, perfetto nelle tre interpreti Silvia Ajelli, Silvia Briozzo e Fonte Fantasia; meno originale (quanto pur sempre apprezzabile), invece, è sembrata la recitazione di Mariano Nieddu e Salvatore Arena, così come l’autoironica performance di Accorsi che in effetti non spicca rispetto alle altre. Ciononostante, gli occhi del pubblico sono solo per lui, a cui va riconosciuto il merito particolare di non essersi adagiato sulla notorietà consolidata di cui gode ma di aver rischiato con uno spettacolo affatto scontato. Piccola nota di rammarico: pur non potendo contare su apposite analisi anagrafiche, ci è sembrata evidente l’assoluta preponderanza di teste canute, tra il pubblico. Un peccato, considerato il fine quasi-didattico dell’opera di Baliani.

Antonio Indolfi

Teatro Diana
Via Luca Giordano, 64 – Napoli
Contatti: 081 5567527 – 081 5784978 – http://www.teatrodiana.it/

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