Le Drag Queen nell’immaginario di Occhisulmondo [INTERVISTA]
Come la protagonista del libro di Lewis Carroll il regista Massimiliano Burini è entrato nel paese delle meraviglie delle Drag Queen. E tra fragilità, colori e poesia ne descrive sogni, speranze e fragilità in “Alice Dragstore” in scena il 19 e 20 febbraio a Perugia.
Truccate accuratamente e vestite di abiti sensuali si muovono con energia e passione davanti ad un pubblico che di notte si ferma incantato ad ascoltarle cantare. Loro, le Drag Queen, uomini la mattina e “divine” la sera sotto i riflettori di un palcoscenico, con le loro storie, i loro dubbi, l’eterno confronto con se stesse e con una società che non ha la sensibilità di avvicinarle, conoscerle, comprenderle, sono le protagoniste di Alice Dragstore della Compagnia Occhisulmondo, in scena al Teatro Brecht di Perugia, per la Stagione curata da Fontemaggiore Centro di Produzione Teatrale, il 19 e il 20 febbraio.
Lo spettacolo diretto da Massimiliano Burini è il viaggio dello stesso regista perugino all’interno di un mondo a lui poco noto ma tal punto affascinante da fargli scegliere – dopo che quasi per caso vi si è imbattuto – di raccontare le emozioni vissute e conosciute in quello che potremmo definire un universo parallelo. Incuriositi anche noi, non solo dalla messinscena ma da ciò che si cela dietro la maschera delle divine, lo abbiamo dunque incontrato per scoprire insieme il “paese delle meraviglie”.
Come nasce l’idea dello spettacolo sulle Drags?
C’è sempre bisogno di uno stimolo da cui partire e il mio è stato Samuel Salamone, Miss Drag Queen Italia 2014, grande amico con cui ho condiviso un’originale esperienza. L’idea dello spettacolo è nata quando Samuel, dopo aver iniziato il suo percorso di Drag a Milano, trasferitosi qui a Perugia, stava cercando di inserirsi nel mondo drag locale. Ogni regione ha il suo gruppo chiuso e per entrarvi mi ha chiesto di aiutarlo in alcune performance (trovare gli abiti, scegliere il trucco e via dicendo). Man mano che andavamo avanti tutto ciò mi ha incuriosito molto perché in questo “suo” mondo vedevo tanta teatralità. Ho perciò continuato ad appoggiarlo e siamo arrivati al titolo di Miss Drag in Umbria per poi proseguire con le selezioni nazionali. Il materiale che mi capitava fra le mani era sempre più interessante ed ho voluto approfondire per capire cosa c’era di già raccontato sul mondo delle Drag Queen. Ho trovato una filmografia incredibile ma, nella maggior parte, si parlava soprattutto dell’aspetto della Drag già conclamata e del suo rapporto con l’esterno. Da qui l’idea. Creare qualcosa che narrasse l’opposto, ciò che nessuno conosceva: il dietro le quinte, quello che accadeva nei camerini e i rapporti che intercorrono in privato tra le drags, lontano dagli occhi. Volevo porre l’attenzione su cosa si verifica prima e durante la trasformazione. Un’esperienza nuova ed unica per me. Ho partecipato a tutto il viaggio di Samuel come aiutante, sarto e anche performer. È stata una grande emozione quando ha vinto il titolo di Miss Drag Queen in Italia… una vittoria che, per come l’ho vissuta intensamente, ho sentito un po’ mia perché l’avevamo costruita insieme.
L’esibizione drag è come una performance teatrale?
L’esibizione drag è molto complessa. Tutto è legato alla “maschera” che “indossano”. C’è una prima uscita durante cui presentano il loro “personaggio”, la loro drag. Poi questo personaggio presenta se stesso “ai massimi livelli” con un “grande” abito. Infine c’è la performance canto (generalmente in playback) e ballo. È una performance teatrale.
Una volta vinto il titolo cosa è accaduto?
Tutto è durato circa un anno e mezzo. In questo periodo avevo raccolto parecchio materiale tra interviste, immagini e quant’altro e, alla fine, ho iniziato a sistemare le informazioni, schiarirmi le idee poi, con Daniele Aureli, ci siamo cimentati nella scrittura drammaturgica. La prima parte del testo l’abbiamo presentata al Premio Dante Cappelletti nel 2013. Non abbiamo vinto ma siamo arrivati in finale. Non rimaneva che cercare aiuto per la produzione. Il sostegno è stato notevole: il Teatro Argot di Roma, l’Armunia Festival Costa degli Etruschi, Kilowatt Festival, Centrodanza di Perugia e il Teatro Stabile dell’Umbria. Così è iniziata la nostra lunghissima fase di lavorazione che, considera non è ancora conclusa. È stato un lavoro in continuo movimento e vedrà, secondo me, la sua completezza proprio nelle serate al Teatro Brecht. Lì avverrà il “vero” debutto perché, seppur già portato in scena in altri teatri, il lavoro di drammaturgia si è concluso solo ora. Considera che, durante la prima residenza a Tuoro sul Trasimeno lo spettacolo aveva una durata di un’ora e quaranta minuti. Ora è di un’ora e dieci minuti circa.
Come sarà dunque strutturato lo spettacolo?
Il lavoro è complesso ed è stratificato. C’è il racconto di una storia romanzata: un inizio, un proseguo ed una fine. È la prima volta che seguiamo questa linea per uno spettacolo. Abbiamo deciso che occorreva una storia “romanzata” perché, per noi, era fondamentale raccontare cosa succede quotidianamente in questi camerini e il vero rapporto che c’è tra le drags. A livello di narrazione è stato complesso perché, proprio per questo fine, abbiamo scelto di metterci in relazione non soltanto con quello che accade al protagonista, ma anche agli altri in scena. Ci sono le azioni di cinque personaggi sul palco interpretati da Matteo Svolacchia, Daniele Aureli, Amedeo Carlo Capitanelli, Stefano Cristofani e Riccardo Toccacielo. Per ogni azione di ciascuno di loro abbiamo la reazione degli altri quattro. La drammaturgia è variata anche perché un lavoro importante è stato fatto sugli attori. In base a come vivevano il personaggio e alla costruzione della regia l’abbiamo cambiata di volta in volta durante prove e messinscene.
In scena sono tutti comprimari?
Si, seppur dalla storia si evince che la protagonista è Alice per me lo sono tutti. Alice (Matteo Svolacchia) vuol più rappresentare, in realtà, quello che ho vissuto io all’interno del mondo delle Drag. Una persona esterna che entra e si trova circondata da questo universo fatto di persone originali.
È stato difficile per questi cinque attori interpretare un ruolo così tanto distante da loro e che non hanno vissuto da vicino come ha potuto fare lei?
Si, è stato molto difficile per loro. Ad aiutarli è stata la costante presenza di Samuel che non ha soltanto descritto l’aspetto più formale ed esteriore della maschera Drag con codici, linguaggi, modo di muoversi e tutto il resto, ma ne ha portato l’anima, il sentimento, le contraddizioni. Ci ha raccontato tanto e ha condiviso con noi sensazioni, paure, ed emozioni che lui ha provato e questo è impagabile. Lilly Boat è stata molto generosa perché ci ha regalato un pezzo importante della sua vita che, poi, è divenuta proprio parte della drammaturgia. È un peccato che lui non sia in scena (NdR. Samuel Salamoni non è tra i protagonisti perché impegnato in tournée con altri spettacoli) perché avere sul palco un “pezzo di verità” sarebbe stato magnifico ma, per certi versi, forse, è meglio così perché ha stimolato un lavoro maggiore negli attori e la scena, oltretutto, è molto più omogenea. Se hai una vera Drag in scena non c’è nulla che tenga il paragone.
La scenografia di Occhisulmondo è sempre minimalista. Come siete riusciti a “ricostruire” tutti i colori delle Drag Queen?
Il lavoro anche in questo caso è essenziale. Di solito lavoro su uno spazio vuoto ma in questo caso ho avuto bisogno di definire dei limiti dentro cui raccontare la storia. Per questo è intervenuto Francesco Marchetti che, dopo 1Principe (NdR. Spettacolo della Compagnia OSM tratto dall’Amleto di Shakespeare), è tornato a lavorare con noi per curare le scene, disegnando per l’occasione uno spazio scenico arricchito con pochi elementi d’arredo che delineano il camerino delle drag. Marchetti ha scelto come unico colore predominante l’oro per illuminare e contrastare il nero, il buio, richiamando e sottolineando così il concetto della ricchezza emozionale dei personaggi, la loro tendenza alla bellezza divina e anche una sorta di rimando al kitsch. Frammenti di uno specchio delineano la quarta parete, ricostruendo in parte quel muro immaginario del teatro, dando un segno marcato allo sguardo del pubblico ed invitandolo a spiare e specchiarsi a loro volta. Quindi, per risponderti, una scena diversa dal solito ma non troppo. Volevamo costruire un ambiente surreale che però avesse qualcosa del “quotidiano”.
Dalle Drag Queen, vivendo per un periodo nel loro mondo, cosa ha imparato?
La lezione più grande che ho imparato è che queste persone danno più che ricevere. E ancora, ciò che più ho percepito è stata l’energia che le porta ad usare un’incredibile ironia, a prendere a schiaffi la vita e ad affrontarla con un sorriso, qualunque cosa accada. Vero è che, di rimando, per certi versi, c’è una altrettanto grande dose di tristezza perché la Drag indossa una maschera che è una proiezione del suo essere interiore. E questa maschera, a differenza di quelle a noi note, come può essere la carnevalesca o la maschera dell’Arte, nata, cresciuta e connotata dentro una struttura come, ad esempio, un’opera teatrale, è una maschera “vivente” che esiste nel loro e nel nostro quotidiano. Non la indossano all’occorrenza o per ricorrenza. È una maschera carnale, vera, che vive, mangia, dorme, respira. Questo è un elemento antropologico importante, è la vera esibizione del concetto pirandelliano della maschera. L’uomo, costruendola, è riuscito a nascondersi veramente all’uomo ed è diventato un altro sé. C’è una particolarità che ti voglio spiegare. Una volta che diventi Drag, che ti sei trasformato, non sei più te stesso. Hai un altro nome, sei un tuo alter ego e, come tale, ti comporti.
La maschera è l’esasperazione del proprio essere?
No, non l’esasperazione ma l’esaltazione del proprio essere “più femminile”.
Sfatiamo il mito secondo cui dietro una Drag Queen c’è sempre un omosessuale…
Assolutamente. L’omosessualità non è una condizione fondamentale perché tu possa essere una drag o che ti porta ad esserlo. Ho conosciuto vari eterosessuali Drag. A prescindere da tutto c’è sempre il “femminile” connotato come una divinità e la divinità è androgena per eccellenza. Pensa agli angeli. Non hanno sesso. È proprio per questo che la Drag è una figura tanto affascinante, perché è “più” di ogni altra cosa.
Alice dove porterà il pubblico?
Questo di Alice Dragstore è un lavoro che porta il pubblico a riflettere sul rapporto che abbiamo con noi stessi e su quello che la società, gli altri, vorrebbero noi fossimo.
Diventando una Drag passa in secondo piano ciò che gli altri pensano di te, o sparisce addirittura perché tu hai, come dicevamo prima, esaltato te stesso al massimo ma hai anche, in un certo senso, nascosto quello che eri. C’è tutto un percorso molto intimo che arriva ad un acme che recita “Ci si può trasformare? Si può cambiare o, addirittura, si può perdere di sé stessi tante cose? C’è una cosa che comunque sia non perderai mai e non puoi neanche dimenticare che è il tuo nome”. Il tuo nome definisce la tua identità. Io sono Massimiliano e posso anche cambiare nome ma nel momento in cui mi guardo allo specchio so chi sono, impossibile dimenticare.
Esaltando il proprio io si conosce meglio sé stessi?
Si, è un costante confronto con sé stessi. Nella scena, che è fondamentale per sottolineare questo confronto, abbiamo ricostruito la quarta parete incorniciandola con uno specchio. Il pubblico assiste allo spettacolo come se fosse seduto dietro e gli attori lavorano costantemente guardandosi riflessi in esso. In Alice infrangiamo (senza però mai superarla) la quarta parete provocando un voyerismo del pubblico. In platea c’è una condizione di osservazione privilegiata che porta chi osserva a cogliere momenti di intimità diversi a seconda della distanza degli attori dallo specchio. Una scelta di regia per far comprendere che più ci si avvicina al proprio riflesso più c’è una presa di coscienza di sé stesso.
Immaginiamo l’importanza di creare un apposito gioco di luce per completare la scena…
Effettivamente il lavoro drammaturgico si completa grazie alla maestria di Gianni Staropoli che riesce, con le luci, a “scrivere” oltre le parole costruendo sfumature, dettagli e atmosfere nelle quali l’intero sviluppo delle azioni e degli stati d’animo dei personaggi si eleva e si arricchisce.
Alice come la protagonista delle avventure nel paese delle meraviglie?
Si, esatto. Quando sono entrato in questo mondo mi sono sentito proprio come la protagonista del libro di Carrol e, come lei, ho trovato persone che parlano (apparentemente) senza senso, un posto nuovo in cui le regole sono sovvertite e in cui esistono altri codici di linguaggio. Come nel libro abbiamo il bruco (Caterpillar), il cappellaio matto (Mad Pussy), la Regina (The Queen), e il Bianconiglio (Bunny Bell). Invece di costruire quattro personaggio dal niente abbiamo scelto questi quattro già esistenti nel volume e, in base a cosa rappresentavano nella storia di Carroll, li abbiamo ricostruiti in parallelo per la nostra.
Ha parlato di diversi codici di linguaggio. Cosa intende?
Intendo una serie di regole precise e ferree. Ti faccio un esempio. Prima parlavamo di un nome che si acquisisce quando si diventa Drag. In quel mondo, quello delle drags, il tuo vero nome non esiste più e menzionarlo davanti alle altre diventa una grande offesa. E questo avviene nel quotidiano, anche quando due di loro si incontrano per caso senza la maschera.
Un circolo chiuso?
Più che altro credo sia un “doversi” chiudere in un circolo. È la dimostrazione della grande chiusura che il mondo esterno ha verso di loro, le Divine. Pensa cosa significhi e comporti essere costretti a costruirsi un mondo parallelo in cui poter essere “qualcosa di più”, di migliore perché all’esterno, nella società, non vieni percepito per il tuo valore, vieni visto come un “diverso”.
Siamo forse troppo ignoranti in materia per aprirci alle drags?
Siamo tutti ignoranti finché non conosciamo ciò che ignoriamo, se mi passi il gioco di parole. Basterebbe poco in realtà. Ci vorrebbe, forse, una più ampia apertura mentale e la volontà di incontrarle e conoscerle per capire che grande lavoro fanno su sé stesse e sulla loro fragilità.
Francesca Cecchini
Teatro Brecht
Viale San Sisto, Perugia
Informazioni e prenotazioni: Fontemaggiore tel. 075.5286651 – 075.5289555 (dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 16) – www.fontemaggiore.it