“Instrument 1”, la parola nel movimento di Zappalà
Per “Equilibrio Festival della nuova danza”, all’Auditorium Parco della Musica di Roma la compagnia catanese viaggia nelle tradizioni e nelle sonorità sicule.
La Compagnia Zappalà è una tra le più importanti realtà della danza contemporanea internazionale, ed è fucina instancabile di ricerca sull’intensità e sulla “fisicità” del movimento, di sperimentalismi atletici, di eleganti suggestioni di poetica corporea.
All’Auditorium Parco della Musica di Roma, la coreografia di Roberto Zappalà è stata protagonista, il 17 febbraio, della quinta serata (dieci totali) della dodicesima edizione di “Equilibrio Festival della nuova danza”, con “Intrument 1 <scoprire l’invisibile>”, nato nel 2007 e replicato in tutto il mondo; lavoro inaugurale del progetto “re-mapping sicily” (che rilegge la Sicilia attraverso la creatività scenica), a cui seguono, nel repertorio, altri due spettacoli dedicati allo studio coreografico di strumenti musicali “inusuali” e artefici di sinfonie inedite.
Il palco sgombro è strumento d’indagine del territorio siciliano, attraente e misterioso, dentro il quale ci si inoltra toccandone le tradizioni, gli stereotipi (positivi e negativi), i valori, le credenze, le abitudini. Si percorrono – col pensiero e con i sensi – le strade assolate, aride e polverose, mentre, circondati da quinte con pizzo (che l’immaginario comune associa ai tendaggi domestici del sud), sette danzatori, tutti uomini, procedono nel buio disturbato solo da una timida e cromatica luminosità diffusa (scene, luci e costumi, come regia e coreografia sono opera dello stesso Roberto Zappalà), avvolti in abiti e veli neri, simboli di vedovanze femminili. Squarciano il silenzio a colpi di tacchi, fiati, voci e sospiri, mentre arti, capi e busti sono interpreti di linee e gesti spezzati, sostenuti, ripetuti.
Sette personaggi/ombre legati da una relazione (dettata da una “drammaturgia cinetica” per dialoghi e rapporti muscolari) che trova già un apice d’ironia nell’improvviso e disinibito ribaltamento estetico, visivo e sonoro, di caste “addolorate” divenute nudi in statuaria posa narcisista. E la femminilità ancestrale, materna, matronale, traspare ancora dai costumi, questa volta abiti/vesti tinta écru, che accolgono mascolinità ritrovatesi sulla scena con fare di placida sfida e giocoso scontro fraterno, e che ereditano, gli uni dagli altri, gli impeti e le rincorse, i sussulti e l’immobilità: quella che li arresta eretti per osservare, quella che li distende supini in vigilanza rilassata.
Zappalà concepisce l’organismo come una protesi sanguigna del suono, modulato e inconfondibile degli “scacciapensieri” (per performance dal vivo di Puccio Castrogiovanni); fulcro di melodie inattese, di variazioni impreviste e quasi elettroniche, i marranzani sono commovente muscolo cardiaco che s’impone sui danzatori, obbligando – e c’è uno magnetismo originale in questo – il gesto a cercare l’autonomia dal movimento anatomico; il fonema a rompere i margini della singola parola (poliglotta), per inseguire un flusso logorroico di vocaboli; l’arto a superare il suo stesso limite per essere ripreso, richiamato, con severità spirituale, dal corpo stesso. E se l’azione visibile è la conseguenza concreta donata all’occhio da invisibili volontà preventive di atti, impulsi, concetti, contenuti nell’azione stessa, qui, quell’invisibile è scoperto, è reso tangibile dai complici indagatori di diverse nazionalità che sono Adriano Coletta, Alain El Sakhawi, Gaetano Montecasino, Adriano Popolo Rubbio, Roberto Provenzano, Fernando Roldan Ferrer e Atoine Roux-Briffaud. Loro danzano e scavano nell’arcaicità sicula partendo da dentro, dai rumori della sua gente, dai colori dei suoi volti, dalla ruvidità delle sue tradizioni, per una rigenerazione carnale che la rende eterna.
Nicole Jallin
Auditorium Parco della Musica
viale Pietro de Coubertin, Roma
contatti: 06 80241281 – www.auditoium.com