L’anarchico non è fotogenico: parola di Quotidiana.com
Nella sala di San Giovanni a Teduccio il duo Scappin/Vannoni mette in scena dal 26 al 28 febbraio il primo capitolo del progetto “Tutto è bene quel che finisce”, creando un’atmosfera asettica e senza via di fuga, nella quale però lo spettatore può masochisticamente lasciarsi cadere con un sorriso tagliente sulle labbra.
Via Principe di Sannicandro è una piccola viuzza inadatta ai due sensi di marcia secondo i quali viene sporadicamente percorsa; a voler essere un po’ lirici e ricorrendo al sema dell’abusata metafora biologica, ce la si potrebbe figurare con le sembianze di un giovane critico sognatore: ancora troppo piccolo per contenere nell’anima sua una solida strada con comode e numerose carreggiate, ma ambizioso – di un’ambizione non catilinaria, però – e deciso a raggiungere il cielo anche solo con un dito.
Sala Ichos, in via Principe di Sannicandro, eredita dalla stradina le stesse peculiari caratteristiche: uno spazio minuto, incapace di contenere folle oceaniche, ma più che capace di contenere mirabilia; il bello – declinato in maniera inconsueta, sorprendente, sempre sperimentale, sempre giovane – ha preso ad abitare questo teatro di provincia al punto che la sala di San Giovanni a Teduccio rappresenta ormai un punto di riferimento per chiunque, ambizioso – ma di un’ambizione non catilinaria, s’intende – o semplicemente curioso, voglia provare a gettare un dito furtivo nel cielo.
E, fino almeno a domenica 28 febbraio, le aspettative non saranno tradite: sull’assito va in scena uno spettacolo diverso, difforme, alterato sia rispetto al ritmo e al tono della quotidianeità della vita civile canonizzata che rispetto all’idea rituale che si ha comunemente del teatro; va in scena una piéce che non può essere classificata secondo il genere, che non ha intenzione di seguire chimerici messaggi ecumenici e che, quand’anche dice, nasconde dietro uno spesso velo di flemmatico sarcasmo il vero, il falso ed ogni parola possibile.
L’anarchico non è fotogenico, prodotto dalla compagnia Quotidiana.com, con in scena il riuscitissimo duo/non-duo Roberto Scappin e Paola Vannoni, primo capitolo della trilogia Tutto è bene quel che finisce (il secondo capitolo, Io muoio e tu mangi, andrà in scena sempre a Sala Ichos dal 4 al 6 marzo), non ha una trama e non ha personaggi, non insegna e non vuol farsi maestro di nulla; i due sul palco, in una scenografia che si caratterizza per sottrazione (un tavolo in primo piano, una sedia sul fondo, una lampada), abbigliati come cowboy urbani, dialogano seguendo le linee guida caratteristiche della compagnia riminese: la parola è tutto, ma è un tutto stanco, languido e inappagato, beffardo e “normale”, un tutto da bisbigliare perché non vale nulla, un tutto da ragionare perché può valere tutto.
Si potrebbe pensare a Montale, che in Non chiederci la parola affermava che “codesto solo oggi possiamo dirti,/ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”; senonché anche una tale affermazione risulta essere troppo programmatica e troppo ardita: Scappin e Vannoni sono due sarcastici disillusi, due annoiati pensosi, il filo (il)logico inconcludente dei cui pensieri è costantemente teso tra le banalità di sempre e gli assoluti del pensiero. Una tensione senza alcun rilassamento, come ben rappresentano l’immoto scenario e il monotono periodare: si discetta sì di tutto, ma sempre con la stessa passiva e quasi inumana cadenza di verba; si sorride sinistramente per il proprio genio sarcastico, ma poi basta, non si cava sangue da una rapa, per quanto gustosa. Una tensione senza salvezza, perché “se uno è stronzo è stronzo“. Una tensione che implode con l’estenuarsi dei temi da dibattere, i quali quasi mai trovano un esito solutorio e che, quand’anche vengano risolti da una pointe arguta e aguzza, in realtà non vengono sciolti che da soluzioni superficiali e formali.
L’anarchico non è fotogenico è un “a parte”.
Poiché inimmaginabile è la comunicazione vera (“Il nostro orrore rimane solo nostro“), e il dialogo non è altro che soliloquio a voce alta – e neanche poi così alta -, che ciascuno dice a sé, ma senza crederci poi più di tanto. Poiché non c’è contatto tra i due in scena e nessun segno d’affetto è possibile: quand’anche le mani riescono a simulare un molle abbraccio, lo si fa senza slancio e senza esser ricambiati; non è possibile alcuna reciprocità e che “muoia” pure “la carità“, sentimento piccolo-borghese, inane espressione di una moralità malata.
E in questo “a parte” si consuma il piccolo, infinitesmo, inutile dramma degli esseri umani, imprigionati nella sciocca routine (“La stupidità mi soffoca“) e nell’indefinitezza senza senso: essi si agitano in modo insignificante tra il futuro e la diarrea, tra la morte dell’incipit (“Chi potrebbe morire“) e la morte della fine (“Poiché finché siamo vivi manchiamo di senso“), senza che nulla di davvero utile sia uscito fuori dalle loro teste, dalle loro bocche.
Tutto questo è vaniloquio. Ed è verità.
Antonio Stornaiuolo
Sala Ichos
via Principe Sannicandro 32 – San Giovanni a Teduccio (Na)
contatti: 335 765 2524 – 335 7675 152 – 081275945 (dal lunedì al sabato dalle 16 alle 20 – domenica dalle 10 alle 17)