L’incredibile critica
Ancora una riflessione sulla critica teatrale, “ingranaggio che non genera materia ma che distrugge”, il cui ruolo fondamentale rischia di essere compromesso.
La riflessione sulla critica teatrale non è una questione marginale all’interno dell’industria teatrale. Tutt’altro. La critica teatrale riveste un ruolo determinante. In che senso? Purtroppo non nel senso che tutti noi desideriamo.
La critica teatrale sembra avere in sé un meccanismo difettoso, un ingranaggio che non genera materia ma che distrugge. Prendiamo in esame lo strumento principale (e ormai obsoleto) di cui si serve: la recensione. In che cosa consiste? Fondamentalmente esistono vari approcci, tutti abbastanza collaudati: riportare cosa è accaduto sulla scena cercando di essere oggettivi (raro), descrivere i fenomeni dell’atto teatrale per traghettarli al pubblico e innescare la riflessione collettiva (rarissimo) cercando di essere onesti (utopistico), testimoniare e documentare nel tentativo di fermare su carta (aspetto che ontologicamente non appartiene al teatro), scrivere un articoletto in cui riportare le notizie di base (comune e inutile), recensire uno spettacolo e informare – decidere – se bello o brutto, solido o scricchiolante (arroganza frequente), inchiostrare sfoggiando citazioni o titoli come solo la peggior accademia può fare (questo fortunatamente raro!), ergersi a paladini di un arte bistrattata come novelli donchisciotte (alquanto sospetto). Dunque diversi sono gli approcci, le vie attraverso le quali si mostrano le recensioni. E i recensori, i critici. Dietro ognuna di queste strade infatti c’è un critico, un uomo che scrive e riflette e che soprattutto è consapevole che questo strumento ha in sé un meccanismo che può essere sfruttato a proprio vantaggio, per il proprio utile. Certamente non in nome del Teatro.
Quando anni fa scrivevo per Arteatro, mi capitò di assistere al San Carlo ad una delle prime edizioni a Napoli del premio Le maschere. Ne rimasi così disgustato che scrissi un articolo intitolato La piovra dove in sostanza “denunciavo” il sistema “criminale” che sosteneva quella manifestazione, da personaggi con la fedina penale non candida, affaristi che si riempivano la pancia, imbroglioni travestiti da mecenati (cosa che mi portò alcuni fastidi ma certo non bastò a farmi smettere di seguire la mia strada). Ma da quella esperienza ne trassi anche un insegnamento importante proprio sulla dinamica dei premi. Cosa sono? Purtroppo non sono quello che in buona fede potremmo aspettarci: non sono la giusta ricompensa per il duro lavoro, non sono la dimostrazione di gratitudine per averci mostrato qualcosa che ci ha fatto sentire meno soli, non sono un tributo organizzato con onestà. Sono la manifestazione, l’ultimo tassello, di un mercato di piaceri, di un sistema di potere dove chi rientra nelle grazie del potente di turno ha diritto ad una saporitissima briciola. Sì, un briciola che darà ulteriore visibilità, che gli permetterà di lavorare. Su quel palco c’erano amici, c’erano conoscenti, c’era gente di spettacolo, c’erano politici, c’erano imprenditori. C’era il San Carlo che voleva crollare dalla vergogna.
Ora quello che accadeva sul palco, quella piovra con i suoi tentacoli, quel meccanismo perverso e “criminale”, è riprodotto anche nella critica teatrale, rendendola incredibile e pertanto danneggiando il Teatro stesso, contribuendo ad allontanare il pubblico dalle sale e determinando quali spettacoli, quali compagnie, quali attori, quali teatri abbiamo più visibilità, determinando in maniera malsana la diffusione di pensiero, di cultura (cosa gravissima quando rientra in questo meccanismo).
Come accade ciò? La critica teatrale (probabilmente a causa del pessimo periodo economico che si vive da vent’anni e più) si è incattivita, si è imbastardita e ha capito che è più conveniente investire le sue energie per trarre profitti personali. Nonostante i nuovi media, la critica teatrale non ha cambiato linguaggio, non ha messo in discussione la sua grammatica, non sfrutta ancora i nuovi canali per cambiare pelle ed essere di questa epoca e aggiungere qualcosa, ma si limita a sfruttare internet solo per diffondere il più velocemente possibile le sue recensioni. Un tempo c’erano i giornali, i quotidiani su cui si potevano trovare intellettuali come Gramsci a scrivere di spettacoli, dove c’erano pagine dedicate alla critica teatrale. Poi sappiamo bene che quelle pagine sono diventate sempre più poche, che la critica si è trasformata in pura segnalazione di un evento (notizia, articoletto), che i critici sono diminuiti sempre più nei quotidiani (che spesso seguono il gusto dei lettori e più spesso lo indirizzano) mentre sono aumentati spropositatamente sul web dove non guadagnano soldi scrivendo (cosa che spessissimo accade pure sulla carta). S’innesca dunque una lotta feroce e disonesta perché si vuole emergere ad ogni costo per afferrare prima di tutto il proprio soldo (in alcun modo giustificabile come obiettivo principale quando si parla di cultura, perché se si antepone il denaro, si depone l’onestà – e sia ben chiaro il lavoro intellettuale, culturale, deve essere retribuito sempre). Prima della critica teatrale allora c’è la questione del critico. E la necessità di un’etica.
Per poter vivere di ciò che desidero fare, devo cacciare gli artigli, devo sgomitare, devo distruggere, devo attirare l’attenzione, devo conoscere e farmi conoscere, devo sorridere e farmi sorridere, devo incutere timore e farmi invitare, devo sedurre e farmi sedurre, devo vendermi e devo vendere. Ecco dove la critica teatrale cambia pelle nel web, in questo caso purtroppo sì. Ecco che le potenzialità della critica teatrale in relazione ai nuovi canali di comunicazione vengono subdolamente fagocitate dall’egopatia del critico teatrale (che troppo spesso indossa la maschera dell’inutile e pedante citazionismo, dell’appassionato tarantolato). Scrive, redige le sue recensioni o i suoi articoli di denuncia cercando l’applauso (popolarità), cercando di creare la propria cerchia di estimatori ai quali a turno dedicherà una recensione positiva che finirà in qualche progetto da inviare ad un teatro per poter andare in scena. Il critico incredibile questo lo sa e cerca di sfruttarlo fino in fondo, deprimendo l’arte, determinando disonestamente la diffusione culturale (che fine fanno tutti gli altri che non entrano nella sua cerchia di interesse, che non chinano il capo, che si oppongono con fierezza?). Capita poi che un “critico” sia anche direttore artistico di qualche festival. In quel caso chi ospiterà? Quale spettacolo andrà in scena? Chi attore reciterà? Certamente chi avrà risposto benevolmente ai suoi sorrisi, chi avrà calato il capo timoroso di una sua “stroncatura” (quanto è odioso questo termine). E dunque quale cultura si diffonderà? Gli spettacoli saranno quelli che riflettono il nostro tempo o la compiacenza di un sistema di favori? Bene, la critica che si avvale di questo meccanismo, che utilizza le recensioni compilate con questa deprecabilissima intenzione, non può che danneggiare la pratica teatrale sia nel presente sia nel lungo termine. La critica teatrale intesa in questo modo, che è capace di mascherarsi bene, è l’incredibile critica che contribuisce ad allontanare il pubblico dalla platea, pubblico che sa ancora evitare ciò che è disonesto.
Qualche anno fa, quando sedevo in platea e scrivevo recensioni, mi è capitato spesso di chiuderne qualcuna proponendo (scherzando, ma non troppo) di ripristinare l’antica usanza greca di gettare frutta e verdura contro attori e spettacoli fasulli. Ecco questa pratica oggi andrebbe inaugurata per l’ingranaggio difettoso della critica. E soprattutto per gli incredibili critici.
Fabio Rocco Oliva