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Il secondo capitolo del progetto portato in scena da Quotidiana.com a Sala Ichos continua la riflessione della compagnia riminese sui temi dell’assurda convivenza umana e dell’incomprensione tra le parti in gioco, pur piegando il senso dell’opera secondo un dettato morale più sostenuto e marcato.

Fonte foto Ufficio stampa

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Oh! un Dio è l’uomo allorché sogna, un mendicante quando riflette.
Friedrich Hölderlin, Iperione

Io muoio e tu mangi.
Nella società dell’esposizione mediatica del cibo da televisione, degli Expo cartonati e dei Masterchef perennemente alla luce della ribalta, potrebbe apparire quasi un complimento, una frase lusinghiera, una lode alla cucina dei nostri tempi veloci e confusionari e ai suoi interpreti visionari, maestri nell’andare anche oltre l’orrida morte non appena abbiano messo un po’ d’olio nella padella.
Ma Io muoio e tu mangi è un’opera teatrale, ed è una cosa terribilmente seria, per nulla seriosa, incredibilmente rigorosa ma non per questo irrigidita, terrificante nel suo scorticamento della buona morale così tipica nelle espressioni pietose di coloro che si commuovono “per le cose stupide”, eppure sempre in grado, con la citazione o l’anafora o il fulmen in clausula, di infilzare lo spettatore con un’ironia cinica e fulminante, abulica e sferzante e di rigarne dunque il viso con un riso beffardo, amaro, che muore sulle labbra neonato.
Secondo capitolo della trilogia Tutto è bene quel che finisce e in scena sull’assito di via Principe di Sannicandro fino ad oggi 6 marzo, Io muoio e tu mangi è una piéce in pieno stile Quotidiana.com: il dialogo – straniato, tagliente, assurdo, ironico – è lo strumento principe, creatore di illusioni e allucinazioni, sempre crudele (“devo essere crudele per essere buono“) e vero – e il gioco del labor limae consiste proprio nel nascondere la lima dalla scena -, mai incline a flessioni sdolcinate e di mediocre tenore; a questo linguaggio, che attinge a piene mani ora al registro della quotidianità ora a quello della citazione letteraria dotta (Dante e Hölderlin su tutti), che ora parla al pubblico con genuino artificio ed ora a se stesso in un “a parte” che segna momenti di passaggio (“Facciamo una pausa sensoriale”), si aggiunge la notevole capacità del duo Scappin/Vannoni di stare sulla scena in maniera apparentemente casuale, insensata, come se, appena tornati da un altrove, vi si trovassero a passar per caso.

Fonte foto Ufficio stampa

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E il caso in esame è quello di un vecchio, malato e rinchiuso in ospedale, costretto dallo spietato rigore clinico e dall’inumana ottusità medica a restare in vita e a condividere i miasmi delle proprie e altrui escrezioni con gli altri disperati confinati nei letti adiacenti al suo; le sue gesta (o non gesta?) sono sommessamente sussurrate in scena dalla figlia di lui (Paola Vannoni) e dal genero (Roberto Scappin), troppo impegnati a fare i conti coi propri lambiccamenti escatologici per prestare davvero attenzione alle esigenze dell’anziano, troppo presi dalle proprie riflessioni superficiali di uomini moderni per concepire davvero i bisogni dell’attempato nonnino, al punto che  anche gli enunciati più sostenuti come “aborto ed eutanasia non sono che una falsa compassione” si alternano a pungenti battute – rivelatrici di tristi verità – su pannoloni, manifesti funebri e budini.
C’è più trama in questo secondo capitolo rispetto a L’anarchico non è fotogenico, c’è più storia, anche se, al solito, manca l’azione, ricreata dalle parole, dette sì piano e con la peculiare atonia che contraddistingue i lavori della compagnia riminese, ma nate forti – pur nella simulazione dell’immmediatezza – per le profonde e meditate conclusioni su temi sensibili quali l’eutanasia e la dignità della vita umana.
La morte arriva, come si canta annoiati nell’incipit, a chiudere l’esistenza del vecchio, in maniera sciocca, quasi indecorosa, senza alcuna magnificenza, senza onori e applausi: e dove andrà ora, in Paradiso, in Purgatorio o all’Inferno, conficcato nella ghiaccia dantesca? Quale tripudiò accoglierà quest’altro “domatore del dolore”?
Il buio del più nulla chiude il cuore.

Antonio Stornaiuolo

Sala Ichos
via Principe Sannicandro 32 – San Giovanni a Teduccio (Na)
contatti: 335 765 2524 – 335 7675 152 – 081275945 (dal lunedì al sabato dalle 16 alle 20 – domenica dalle 10 alle 17)

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