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Al Teatro Cometa Off di Roma, Giacomo Bisordi dirige (con impeto) “Kvetch”, trentenne testo del regista e commediografo britannico Steven Berkoff.

Foto Riccardo Freda

Foto Riccardo Freda

Con un’attrazione particolarmente ispirata per la drammaturgia anglosassone, alla quale si riconducono i profili oscuri e istintivi, e le identità logorate da intimi drammi taciuti di “Amori e resti umani” di Brad Fraser e “Fred’s Diner” di Penelope Skinner, per doppia regia di Giacomo Bisordi, ora la compagnia Barbaros, in coproduzione con la Società per Attori guidata da Franco Clavari, si misura con Kvetch, commedia inglese del 1986 di Steven Berkoff, in una messinscena a dir poco tachicardica.
Uno degli spettacoli – e non è un azzardo – più argutamente stimolanti e coinvolgenti proposti in questa stagione teatrale capitolina, quello appena andato in scena (dal 3 al 13 marzo) al Cometa Off di Roma. E ciò non solo grazie all’intrigante struttura narrativa (a noi restituita dalla traduzione di Giuseppe Manfredi e Carlotta Clerici), con sovrapposizioni in trasparenza tra parola detta e pensata, comunicazione interpersonale e dialogo interiore, castranti regole di buona educazione e mentali sfoghi liberatori urlati (e poi attuati), ma anche alla stuzzicante alchimia umana e artistica tra una dissacrante e pungente concezione registica (per un complesso, affascinante “gioco di incastri”) e una febbrile, tempestiva, prova recitativa di cinque encomiabili interpreti.

Foto Riccardo Freda

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Il titolo, dal verbo inglese “to kvetch”, identifica un atteggiamento lamentoso, capricciosamente piagnucoloso, cronicamente teso alla lagna, ed è il comune denominatore di uno stato emotivo – l’ansia – che interessa, con declinazioni diverse, tutti i personaggi. Essi appartengono a una scena minimalista delimitata su tre lati da un’unica tenda in ciniglia (per ingegno di Paola Castrignanò, con luci di Marco D’Amelio e costumi di Anna Missaglia), che inizialmente accoglie la sala da pranzo di una borghese famiglia ebrea americana durante una apparentemente tranquilla cena con ospite. Presenti il capofamiglia Frank, a mezzo passo dalla nevrosi irreversibile (alias Daniele Biagini, superbo per efficacia fisica ed emotiva portata ai limiti dell’ipertensione); sua moglie Donna, che Cristina Poccardi rende eloquente icona sociale della consorte e madre sempre devota e presentabile – ovvero, femminilità frustrata e repressa oltre l’orlo della crisi di nervi -, per un sacro vincolo del matrimonio possibilmente sinonimo di servitù a tutte le ore. Ci sono poi la Suocera (di lui), paladina dei rumori fisiologici in libera uscita, nonché fulcro di burbero sarcasmo, critico e intransigente, scagliato con scottanti sentenze e commenti da una magnetica Ludovica Modugno; e Hal, l’invitato, collega di Frank, scapolo un po’ nerd, tanto pacato e docile quanto allucinato, paranoico e isterico, la cui alta temperatura cerebrale è donata da Vincenzo Giordano.
Sul palco, le banalità quotidiane e colloquiali diventeranno presto miccia di una imbarazzante, incontenibile, indicibile esplosione grottesca di inarrestabile intreccio fluido di (sinceri) pensieri, giudizi, accuse, spietati e diretti, tutti espressi (ovvero confidati, ad alta voce, solo a noi spettatori) con parole dal ritmo cardiaco molto, molto accelerato. L’arrivo, poi, di George, affermato manager aziendale cui Alessandro Averone conferisce una presunzione vagamente kitsch, a copertura di una neuronale solitudine e fragilità psicastenica, chiude il palpitante, intenso, sensorialmente e patologicamente attraente bel gruppo di ansia in interno ritratto da Bisordi: per un alternarsi di piani reali a non-luoghi “altri” immaginari, onirici, virtuali (anche video-proiettati); per un complicarsi relazionale di personaggi, storia e racconto, e per una (con)fusione catalizzante, coscientemente sentita, teatralmente ben riuscita.

Nicole Jallin

Teatro Cometa Off
via Luca della Robbia, 47
contatti: 06 57284637 – cometaoff.it

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