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Al Teatro Brancaccino di Roma, fino a sabato 19 marzo, la drammaturgia contemporanea di Nick Payne nella regia di Silvio Peroni, per raccontare le relazioni amorose con la fisica quantistica.

Foto Luigi Angelucci

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Le costellazioni dividono il cielo disegnando confini netti, convenzionalmente riconosciuti come limiti precisi e necessari per mappare i corpi celesti. Questo è quel che succede fuori, nello spazio. A teatro, invece, accade molto di più. Accade (fino a questa sera 19 marzo) che il Brancaccino di Roma diventi cielo condiviso delle “Constellations” nate dalla scrittura brillante del giovane drammaturgo inglese Nick Payne, e a noi consegnata in italiano da Noemi Abe, per una produzione Khora.Teatro, diretta da Silvio Peroni e interpretata da Aurora Peres e Jacopo Venturiero.
Accade che quelle linee e quei confini splendenti compaiano e scompaiano (per delicata e sottile grazia luminosa meditata da Valerio Tiberi) sopra il palco, restandosene sospese, come gocce di stelle, in lampadine alogene pendenti dall’alto. E accade che sotto di esse, – in una scena vuota -, tra il loro bagliore e il loro buio, si svolgano versioni dissimili di un rapporto di coppia, quello tra Marianna, docile esperta di cosmologia quantistica all’Università, e Orlando, cordiale apicultore in carriera. Versioni relative alla teoria fisica del “multiuniverso”, che prevede una compresente pluralità parallela di mondi le cui diverse variabili producono altrettante conseguenze a una medesima azione.

Foto Luigi Angelucci

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Con una filosofia ispirata a “Slinding Doors” (Peter Howitt, 1998), si rende concretamente/teatralmente possibile (ri)percorrere molteplici coniugazioni relazionali attraverso una serie di “esercizi di stile” e perpetui balzi spazio-temporali figli di una certa complessità narrativa che sviscera confronti e sconforti, dichiarazioni e incomprensioni, teneri imbarazzi, e impulsività sensoriali, affettuosità sincere e dissapori intimi di un’esistenza insieme (ipotetica, mai avvenuta, vissuta). Complessità che incontra una regia rispettosa ed elegantemente sobria di Peroni, e, nel binomio attoriale Peres-Venturiero – con bella e armonica sintonia istintiva – sfumature d’ironia, di drammaticità, di euforia, di pacatezza, per una connessione diretta con lo spettatore di tensione emotiva, percettiva, cerebrale.
In questa rete capillare di flashback/flashfoward di detto e non detto, di gesti espressi e repressi, di modalità d’esternazione di pensieri e sentimenti, che scatenano un’irreversibile combinazione casuale di tasselli, di parentesi comportamentali, e che procede secondo una non-linearità cronologica (dal primo incontro, alla convivenza, al tradimento reciproco), si materializza l’ombra della malattia di lei. Un’ombra che potrebbe portarsela via piano piano, partendo dalla mente, rubando parole e condannando le labbra a una progressiva necrosi verbale; il respiro a un’affanno incapace di comunicare; la vita a un calmo spavento della sua persistenza. Fino alla fine, fino all’addio, quando il tempo non è che indifferenza.
E se sentirete dei brividi corrervi giù per la schiena, non spaventatevi (e non chiedete all’astronomia, all’astrofisica o alla cosmologia): è uno stato emozionale psicofisico che si sente e non si spiega, che si trattiene perché non si capisce. È l’effetto collaterale del teatro. Esiste ed è scientificamente provato.

Nicole Jallin

Teatro Brancaccino
via Mecenate 2, Roma
contatti: 06 80687231 – botteghino@teatrobrancaccio.it – teatrobrancaccio.it

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