Il tragico “novantadue” di Falcone e Borsellino
Claudio Fava ripercorre l’ultimo periodo di vita dei due magistrati siciliani, e la loro corsa contro il tempo, tra solitudine, profondo senso del dovere e stima reciproca.
Il 1992 è un anno centrale nella storia italiana del Novecento, fulcro di vicende intrecciate e interconnesse dai riflessi ancora evidenti sullo scenario politico e sociale attuale; non sorprende, allora, che sia diventato oggetto di diversi tentativi di racconto, sintomo di una ricerca e di un’elaborazione ancora non completa attorno alle ferite della storia prodottesi in quell’annata tragica. Novantadue – Falcone e Borsellino 20 anni dopo di Claudio Fava ‒ in scena per la prima volta a Napoli dal 15 al 20 marzo al Piccolo Bellini ‒ ha il merito di proporne una lettura impegnata, ripercorrendo gli episodi dei mesi precedenti alle stragi di Capaci e via D’Amelio, costruendo una narrazione non scontata attorno a una storia di cui si conosce già il triste, inevitabile finale.
Il testo dello scrittore catanese – scritto in occasione del ventennale – mescola finzione, citazioni famose dei due giudici e deposizioni dai processi da loro tenuti e che dalle loro morti sono stati generati, condensando mesi infernali di storia italiana, di Corvi (storica firma anonima che dalle pagine dei principali quotidiani attaccava i due giudici) e malelingue, muri di gomma e convergenze parallele tra Stato e anti-Stato. Uno scenario a tinte fosche da cui si stagliano con nettezza le figure dei due giudici siciliani, dipinti nella loro eroica solitudine, spezzata solo dai dialoghi iniziali in cui si confortano vicendevolmente di fronte alla consapevolezza del sacrificio che è loro richiesto. La regia di Marcello Cotugno asseconda questa sensazione di alienazione intervallando i dialoghi e gli interrogatori con scene che producono un forte shock visivo, facendo ampio ricorso alla luce stroboscopica.
A reggere il tutto ci sono le interpretazioni di Filippo Dini (nel ruolo di Giovanni Falcone), Giovanni Moschella (aiutato, nella raffigurazione di Paolo Borsellino, anche da una certa somiglianza fisica con l’originale) e Pierluigi Corallo, autentico jolly che si occupa di tutte le figure antagoniste a quelle principali: e non è un caso se nella categoria possono essere catalogate sia personalità delle istituzioni che appartenenti alla criminalità organizzata siciliana.
Il pubblico del Piccolo Bellini viene accompagnato verso la morte di Falcone e Borsellino tra presagi di morte e giochi di luce che ne anticipano le dipartite, si commuove pur conoscendo il finale, e alla fine ringrazia il regista per l’opera compiuta. Ad onor del vero, però, va detto che nemmeno a Cotugno e Fava riesce di staccarsi dalla generale opera di mitizzazione dei due magistrati, procedendo forse inconsapevolmente sul percorso collettivo di santificazione civile cui si assiste negli ultimi anni. “La normalità è un desiderio onesto”, dice Falcone: ma niente di quel che fanno lui e Borsellino sembra “normale”; entrambi vanno incontro alla morte con piena coscienza, scegliendo il martirio pur di non tradire i loro ideali; una rappresentazione che probabilmente aumenta la distanza tra “eroi” e “persone normali”, abbandonando lo spettatore al consolante pensiero che la lotta alla mafia sia un fatto esclusivo dei primi; ma questo è un discorso più ampio il cui approfondimento lasciamo ad altre occasioni.
Antonio Indolfi
Teatro Piccolo Bellini
Via Conte di Ruvo, 14 – 80135, Napoli
Info e contatti: www.teatrobellini.it – botteghino@teatrobellini.it – 081 54 99 688
Orari: martedì, mercoledì, giovedì, venerdì h. 21:15 – Domenica h. 18:30