Coi detriti nell’anima, le voci di Elena Arvigo
A chiusura della XXII Scena Sensibile all’Argot Studio di Roma, “I monologhi dell’atomica” come testimoni commoventi di Nagasaki e Černobyl’.
Non è una narrazione cronachistica di disastri passati, né una didascalica commemorazione scenica di eventi storici o un rammento di ecatombi improntato sul sentimentalismo forzato. I monologhi dell’atomica, che hanno per artefice Elena Arvigo in replica all’Argot di Roma (fino al 26 giugno ore 21) a conclusione della Scena Sensibile XXII, diretta da Serena Grandicelli, sono incontro immediato e totale con le percezioni, le angosce, i desideri dei sopravvissuti dell’indicibile, dell’inconcepibilmente tragico di Nagasaki e Černobyl’.
Con ispirazione (ricerca e studio) testuale rivolti a “Preghiera per Černobyl’” di Svetlana Aleksievič e “I racconti dell’atomica” di Kyoko Hayashi, il progetto – prodotto dal fiorentino Teatro delle Donne – torna al disastro atomico del ’45 e a quello nucleare dell’86 scavando nella quotidianità spezzata e violata poco per volta da quel “male da raggi” che divora da dentro, invisibile, inarrestabile. Un giorno qualsiasi per gente qualsiasi s’invade di una sorda e disarmante solitudine udibile solo da chi è rimasto, mentre i silenzi sovietici, americani, giapponesi, tengono all’oscuro le coscienze e sequestrano alla vista prove (corpi, scritti, immagini) scomodi per il controllo del collettivo sapere. Non si leggano qui denunce politico-civili ma piuttosto volontà di omaggiare la verità con le voci di straordinarie donne restituite dalla toccante interpretazione della Arvigo che, svestitati di tuta e maschera antigas, dimora in un interno arrestato nel tempo, tra leggii, cassetti polverosi, un giaciglio e un tavolo apparecchiato di umiltà e macerie, per un commovente rimando fotografico a un fantasma urbano disabitato.
C’è la giovane sposa di un pompiere accorso alla centrale in fiamme, perso, ritrovato e mai più lasciato, che c’invita nell’intimità di dialoghi e gesti verso la riscoperta di una felicità semplice perché ritardi la morte del marito e futuro padre pian piano svuotato dell’umanità per divenire “oggetto contaminato”, pericoloso portatore di radiazioni, insopportabilmente inavvicinabile, fatalmente raggiungibile. C’è l’innocenza e l’ingenuità infantile di una degli evacuati “bambini di Černobyl’”, la cui presenza è segnalata da cartelli, perché è meglio discriminare: chi è fisicamente inquinato, infettivo, inguaribile può essere anche socialmente dannoso. Ma c’è anche un soldato che per volontaria dimostrazione eroica (e dosi di minacce superiori) si occupa, finché potrà, della “bonifica” delle terre abbandonate in un vuoto spettrale. E c’è la memoria più antica di Kyoko Hayashi, scaraventata a un passo dalla morte, immersa in uno squarcio di realtà apocalittico, impossibile, accaduto (ma non disperato), che ora si fa reading di lucide reminiscenze della follia (dis)umana, quella di chi sgancia bombe decidendo con un pulsante la scomparsa di intere città, e quella di chi lascia fare, consciamente.
È possibile che il respiro s’arresti più volte durante lo spettacolo. Colpa di una Elena Arvigo che dimostra ancora una volta una sensibilità delicata di ascolto, di lettura emotiva, di coinvolgimento umano e artistico per la vita, i ricordi, i racconti. E di un rispetto profondo che dona in una teatralità quale condivisione sincera – mai timorosa né prevenuta, mai epurata né edulcorata – di un sentire comune.
Nicole Jallin
Teatro Argot Studio
via Natale del Grande 27
contatti: 06 5898111 – info@teatroargotstudio.com