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Laura Angiulli adatta e dirige la nota tragedia sull’incesto scritta dal drammaturgo britannico, al suo debutto per il Napoli Teatro Festival 2016.

Fonte foto Ufficio stampa

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Peccato che fosse puttana, per la regia di Laura Angiulli, porta il capolavoro di John Ford sul palcoscenico di Galleria Toledo (via Concezione a Montecalvario 34), nell’ambito della nuova edizione del Napoli Teatro Festival. Lo spettacolo, andato in scena per la prima volta ieri 28 giugno e in replica ancora stasera ore 19, riprende l’accurata traduzione di Nadia Fusini e la mette al servizio di un libero adattamento firmato dalla stessa regista, da sempre interessata alle possibilità sceniche della drammaturgia elisabettiana e di quella immediatamente successiva.
L’opera, rappresentata inizialmente tra 1629 e 1633 e pubblicata solo successivamente, come da tradizione, fece discutere nell’Inghilterra di Giacomo I a causa del suo nodo centrale: l’amore incestuoso tra due fratelli della nobiltà di Parma. In effetti, il mal represso sentimento di Giovanni (Gianluca D’Agostino) per la sorella Annabella (Alessandra D’Elia), vissuto consenzientemente con la compiacenza della nutrice di lei, Putana (Cloris Brosca), sancirà l’inizio della fine in un universo imbevuto di falso moralismo e di religiosità di facciata. Alla giovane, bramata da molti pretendenti, non sarà permesso sottrarsi in eterno alle norme che la vorrebbero sposata a un uomo del suo rango e con cui non ha legami di sangue. E il sangue che la unisce al fratello sarà lo stesso che verrà inevitabilmente versato nel funesto epilogo della tragedia in cui nessuno è al sicuro. Peccato che fosse puttana mostra come siano tutti peccatori a loro modo, ma contemporaneamente individua in Annabella la vittima designata. Sarà lei a pagare il prezzo più alto, a subire le ingiurie, le condanne, le percosse, a farsi carico di un crimine che offende tanto più perché proviene da una donna dall’apparenza angelica e virtuosa, una donna la cui unica colpa è quella di “sentire”.

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Insistere sulla disparità di genere – sul gap che separa le responsabilità di lei da quelle di lui – sarebbe stato senza dubbio interessante e necessario, nonché al passo coi tempi bui in cui viviamo sempre più subdolamente tale disparità. Tuttavia, non è parso ciò il primo obiettivo di questo spettacolo, più intento a ricercare lo shock nel pubblico, giocando sulla relazione torbida tra i due protagonisti. Ciononostante, quello che viene a mancare nella messinscena sembra essere proprio la carica dirompente e rivoluzionaria che verosimilmente un tema così delicato può aver provocato nel Seicento. L’audience contemporanea, al contrario, sembra essere anestetizzata allo scandalo-incesto, soprattutto se questo viene propinato regolarmente da serie TV e film, e fa affidamento all’elemento visivo per lasciarsi sorprendere, attrarre e turbare. Peccato che fosse puttana non osa, sulla scorta di alcune buone premesse: mostra la violenza, non la passione che ne è stata la causa, non fino in fondo. La suggerisce, lascia che fluttui in uno spazio scenico spoglio, riempito esclusivamente dagli attori, corpi costantemente presenti e pronti a farsi primi spettatori del dramma che si consuma sì, ma a mezza voce.

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Il cast (che oltre ai già citati, annovera anche Federica Aiello, Agostino Chiummariello, Michele Danubio, Luciano Dell’Aglio, Gennaro Di Colandrea, Stefano Jotti, Gennaro Maresca, Vittorio Passaro, Francesco Ruotolo, Maria Scognamiglio, Antonio Speranza), non particolarmente armonico e omogeneo, lascia spiccare due performance: oltre alla volgare e vitale Putana della Brosca, è il personaggio di Vasques, interpretato con coscienza da Michele Danubio, servitore di uno dei corteggiatori di Annabella, il perno della storia. Sono i servi che, a differenza dei padroni, non hanno paura di dire la loro, di tessere le trame, di urlare, se necessario. Perché un amore come questo, così disturbante e insieme così visceralmente umano da spingersi ai limiti del comprensibile, non può e non deve essere sussurrato. Tenersi le parole (e le battute) strette tra i denti, costringere il pubblico a guardare e passare oltre senza “sentire” davvero, quello è il vero peccato.

Stefania Sarrubba

Napoli Teatro Festival
contatti: https://www.napoliteatrofestival.it/edizione-2016/

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