Mare mater. Naufraga la memoria.
L’esperimento educativo della nave asilo Caracciolo riemerge in un progetto di Fabio Cocifoglia in scena al Bacino Borbonico molo San Vincenzo.
“C’era una volta… Un re!- diranno subito i miei piccoli lettori- No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno”. Avrebbe potuto cominciare così Mare mater. L’esemplare storia della nave asilo Caracciolo e della Signora Giulia Civita Franceschi, rievocando sin da subito il parallelismo tra educazione e scultura, tra Pinocchio e uno qualsiasi degli oltre 750 bambini imbarcati sulla nave Caracciolo tra il 1913 e il 1928.
Nato da un progetto di Fabio Cocifoglia e in scena dal 28 giugno al 2 luglio, ore 21, al Bacino Borbonico molo San Vincenzo, con la partecipazione della banda musicale composta dai bambini di Canta Suona Cammina e con la collaborazione di numerose realtà, lo spettacolo vuole raccontare lo straordinario esperimento educativo tutto napoletano realizzato sulla piro-corvetta a elica della Marina Militare che, per una legge del 1911, fu donata alla città di Napoli. Lo scopo fu quello di riconvertirla in “nave-scuola” per ragazzi che vivevano in condizioni di estrema povertà, e l’incarico fu affidato a Giulia Civita Franceschi come delegata dello scienziato e filantropo David Levi Morenos. Il progetto, però, si concluse amaramente a causa dell’intervento fascista che destituì la Franceschi dal suo incarico per assorbire l’istituto educativo nell’Opera Nazionale Balilla. La nave, abbandonata nel porto di Napoli, andò semi-distrutta sotto i bombardamenti per essere, infine, demolita.
La vicenda riemerge direttamente dall’acqua per riversarsi sul suo vero scenario, luogo di rievocazione di una terra vista dal mare in cui l’azione, tra reti da pesca e relitti, è accidentalmente attraversata dai gatti del porto. E, anzi, sono proprio questi ad anticiparne, molto suggestivamente, l’inizio, evidenziando l’imponenza del Maschio angioino e della collina del Vomero che si stagliano sullo sfondo.
L’educatrice, interpretata da Manuela Mandracchia, arriva dall’estremità del molo per lodare la banda musicale che, assieme a una specie di cantastorie (Niko Mucci), irrompe festosa sulla scena. Qualche minuto e i bambini tornano all’oblio. Da qui comincia la vera e propria vicenda: ricerca di quei ricordi che solo il mare può riportare. Così si aggira su un molo deserto la barcollante educatrice finché, da una piccola barca, giungono due marinai (Luca Iervolino e Giampiero Schiano), suoi ex “caracciolini”, restituendole un baule, l’archivio; restituendo la vicenda alla Storia. Ma se Gennaro ricorda perfettamente e con gioia, Salvatore ha dimenticato tutto; ha voluto dimenticare per non doversi assumere il peso del proprio passato di “scugnizzo”. Sarà la rabbia, ancora repressa, a far riaffiorare in lui i ricordi offrendo uno spaccato sociale che vorrebbe essere critico nei confronti degli ambienti borghesi dell’epoca. Da qui la differenza tra beneficenza e solidarietà, tra “scugnizzi” e “caracciolini”, rivendicata dall’educatrice.
Dal mare, riemerge anche il padre della Franceschi (Graziano Piazza) che, come una figura dantesca, si aggira spettrale per il piccolo molo portando con sé i ricordi d’infanzia di Giulia e una metafora. Come il falegname così il pedagogo, come i ragazzi sulla Caracciolo così Pinocchio nella pancia della balena. La figlia Giulia, artigiana-pedagoga, “scolpisce” quei bambini che, un giorno, saranno uomini; buoni marinai, buoni lavoratori… buoni fascisti? Il conflitto, dunque, è quello tra “uomini liberi” e “schiavi”, uno iato che sarà sancito dall’intervento del gerarca fascista (sempre Graziano Piazza) che arriverà a interrompere il progetto non sufficientemente definitivo, vincente e totalizzante della “nave-scuola”.
Una metafora che, sfortunatamente, assume caratteri prepotentemente didascalici, disattivandone la potenza ed esasperando la già piatta e stereotipata presenza dei personaggi.
La contrapposizione tra bene e male, allora, si acuisce e, se l’educatrice assume i tratti della fatina dai capelli turchini, il gerarca precipita nelle sembianze farsesche del Gatto e la Volpe e i due adulti marinai restano ancorati a una Caracciolo bambinesca, realizzandosi tutti quanti in una recitazione piuttosto patetica e dalle tonalità disneyane. Del resto, si tratta di una caratterizzazione già presente a livello drammaturgico che trasforma, inavvertitamente, lo spessore dei personaggi in figurine.
Tuttavia, il grande merito di Fabio Cocifoglia, assieme ad Alfonso Postiglione e ad Antonio Marfella, è certamente quello di averci raccontato una storia purtroppo dimenticata e di aver accettato una sfida piuttosto difficile, quella di portare in scena una vicenda già potentissima e drammaticamente vera, facendocela rivivere nella sua autentica cornice.
Dell’intento critico, che arriva in una forma troppo esplicativa e poco approfondita, restano però aperte alcune questioni su cui si è timidamente invitati a riflettere: quale sarà il frutto di un tale esperimento? Forse un Pinocchio alla Carmelo Bene, un burattino finalmente in carne ed ossa esecutore di una morale preconfezionata? Che tipo di sculture saranno gli uomini della ormai simbolica Caracciolo? Dei Canova o dei “non-finiti” Michelangelo, figure nate una volta per tutte o ancora e sempre “da venire”, imprigionate in corpi amorfi, possibili? E poi ancora, che farsene di un mare che, con la sua forza pedagogico-iniziatica, spinge a nascere come a morire? Che farsene di una madre che non salva se non una piccola parte della sua prole? O, peggio, di una madre che forgia i propri figli per offrirli in sacrificio? E non muoiono solo gli uomini, muore anche la memoria.
La scena è ormai vuota, come vuoto è il baule; niente archivio, niente Storia, solo il mare che dà e toglie, e che va cantato nella sua ambiguità uterina.
Questo sembra dirci nella battuta finale il cantastorie che, solo sul ciglio del molo, chiude la vicenda. Cantastorie che è da sempre testimone di altre voci, testimone di ciò che nella Storia fa naufragio.
Lorena Grigoletto
Napoli Teatro Festival
contatti: https://www.napoliteatrofestival.it/edizione-2016/