Harry Potter and the Cursed Child: è magia a Londra
L’ottava storia, che vede il protagonista dei romanzi di J.K. Rowling ormai adulto, diventa uno spettacolo di incredibile, attenta orchestrazione, premiato da lunghi applausi.
Potrebbe, senza esagerazioni, essere definito l’evento teatrale di quest’anno. E probabilmente anche di quello a venire. Harry Potter and the Cursed Child, nato da un soggetto di J.K. Rowling – sviluppato poi da Jack Thorne per la regia di John Tiffany – ha debuttato lo scorso 30 luglio (per rimanere in scena per più di un anno), alla vigilia della pubblicazione dello script. Il resto è storia: la caccia al biglietto d’oro e i disperati tentativi al box office sono stati aggirati da chi scrive solo grazie a una buona dose di fortuna, dopo aver acciuffato uno dei 40 biglietti messi a disposizione settimanalmente sul sito allo scadere dell’apposito countdown, i cosiddetti Friday Forties.
Non un semplice spettacolo, Harry Potter and the Cursed Child è un magnifico tour de force composto da due parti della durata di circa due ore e mezza ciascuna. Un intero pomeriggio, dunque, che i moltissimi spettatori hanno trascorso sulle poltrone di velluto rosso del Palace Theatre, inaugurato nel 1891 nel cuore del West End di Londra, a due passi da Chinatown.
Dell’ottava storia abbiamo discusso nel dettaglio qui. Si riparte dove eravamo rimasti, su quel binario di King’s Cross caro agli appassionati. Stavolta è la nuova generazione di maghi e streghe a salire sull’Hogwarts Express: Albus (Sam Clemmett), figlio di Harry (Jamie Parker) e Ginny (Poppy Miller), sua cugina Rose (Cherrelle Skeete), primogenita di Hermione (Noma Dumezweni) e Ron (Paul Thornley), e Scorpius (Anthony Boyle), erede di Draco Malfoy (Alex Price). Un trio che è destinato a diventare un duo: i due ragazzi diventano migliori amici, uniti dal rapporto difficile con i rispettivi padri. Nel tentativo di riscattarsi da queste eredità ingombranti, finiranno nei guai con un Giratempo, tornando al Torneo Tremaghi di tanti anni prima per salvare Cedric, insieme alla cugina di lui, Delphi (Esther Smith). Su tutti, intanto, aleggia il ritorno di Lord Voldemort: voci di corridoio vorrebbero in giro il figlio dell’Oscuro Signore, una minaccia che il Ministero della Magia, guidato da Hermione, non intende sottovalutare.
E proprio sulla storia avevamo espresso delle riserve, ma abbiamo dovuto arrenderci di fronte a una messinscena impeccabile. Jack Thorne fa quel che può, camminando sul sentiero irto di parole e intrecci tracciato dall’inarrivabile J.K. Rowling. A dispetto degli sforzi, è la regia che riesce a far dimenticare i piccoli difetti (tutti relativi alla scrittura), quali il mancato approfondimento di alcuni personaggi, come Rose Granger-Weasley, di cui vorremmo conoscere di più, e l’affidarsi ai tratti caratteristici che potrebbe scadere nel cliché, in particolar modo nel caso di Ron, giullare di cui non viene sottolineato il coraggio che i libri ci avevano mostrato. Le imprecisioni, tuttavia, passano in secondo piano di fronte alla maniacale orchestrazione di Tiffany e Steven Hoggett, movement director. Ed ecco che un copione che su carta appare solo discreto, va, invece, a costituire la base di un tutto armonico nel momento in cui accede al luogo sacro per cui è stato concepito, ossia il palcoscenico.
L’azione ha inizio e mantiene un ritmo serratissimo per un’ottima Parte 1 e per gran parte di Parte 2. Vedere il binario 9 ¾ prendere vita tra sbuffi di vapore a una distanza quasi colmabile rispetto alla virtualità dei film è tra le esperienze più emozionanti possibili. Fin da subito, ci si rende conto di essere al centro di una produzione di altissimo livello, persino superiore agli già elevati standard londinesi. Il palco girevole in cui il proscenio si schiude a rivelare una piccola piscina, le botole a scomparsa e i cavi di sospensione avvicinano l’opera al mondo del circo e dell’illusionismo. Ogni trick a beneficio dello spettatore – la phone box di accesso al Ministero della Magia risucchia l’attore e il mantello – è stato progettato con maestria da Jamie Harrison, lasciando al pubblico null’altro che il godimento di piccoli attimi di inspiegabile magia.
Altrettanto magica sembra la gestione degli oggetti di scena affidata agli swings, velocissime ombre svolazzanti che, con un colpo di mantello, nascondono e portano sul palco gli oggetti, tra cui le rampe di scale a cui “piace cambiare”. Gli stessi, numerosi salti temporali, inoltre, vengono vissuti in maniera inclusiva dall’audience, che sperimenta il senso di stordimento dell’atterraggio in una dimensione alternativa mediante un sapiente gioco di suoni e di proiezione del fondale.
Inutile dire che costumi, scenografie e props hanno poco da invidiare a quelli degli otto film, rappresentando la ciliegina su una torta di molteplici piani di perfezione visiva, come nella ricostruzione di Halloween a Godric’s Hollow, tra porte colorate, zucche intagliate e neve che scende fitta, malinconico presagio.
Per quanto riguarda il nutrito cast, appare pressoché impossibile far primeggiare qualcuno. Eppure, nonostante una recitazione che valica l’ordinario sia negli adulti che negli attori più giovani (a differenza dei film, in cui i ragazzini non sempre se la cavano a dovere), oltre cinque ore di spettacolo sfiancano. Purtroppo Jamie Parker, vittima dell’influenza, per la prima volta non riesce a inforcare gli occhialetti per la seconda parte, venendo rimpiazzato da Stuart Ramsay. Si potrebbe pensare che la sostituzione del primo attore comporti un calo nella qualità, ma Ramsay prende le redini lasciategli dal febbricitante Parker in modo pulito e preciso, arrivando alla conclusione di questo spettacolare viaggio in cui figli e genitori, amici e fratelli, bene e male giungeranno all’inesorabile punto di incontro. Il tutto avviene in un’altalena di momenti comici e altri più seri. I primi, dovuti principalmente al goofy Scorpius e al buon, vecchio Ron Weasley, nonché agli adorabili dialoghi di quest’ultimo con Hermione, si intervallano ai secondi. Nella top three, l’incontro tra Harry e Bane nella Foresta Proibita, complici le note di Imogen Heap, mai così coinvolgente dai tempi del finale della seconda stagione di The O.C.; l’abbraccio tra Hermione e la figlia Rose dopo aver rischiato di perdersi; la morte di Severus Piton, eroica tanto quanto la prima, sebbene in un universo parallelo.
Harry Potter and the Cursed Child è molto più che un prosieguo della saga, è una macchina perfettamente oliata che è letteralmente destinata a incantare la platea per un tempo lunghissimo. Il ricordo migliore di questa incredibile bomba a orologeria, e anche il più rappresentativo dell’immenso lavoro umano che viene prima, durante e dopo ogni replica, è stato offerto a chi scrive dalla scelta di una porta sbagliata nella pausa tra le due parti. L’inaspettata visione degli attori sudati, in tuta, a provare le coreografie sotto gli ordini di regista e movement director, incidente che è quasi costato alla sottoscritta la permanenza in teatro, è stata la vera essenza di questo Harry Potter. A ricordarci che la magia talvolta ha un prezzo alto che, però, sa essere, a giudicare dalla standing ovation di dieci minuti, molto, molto gratificante da entrambi i lati della quarta parete.
Stefania Sarrubba
Palace Theatre
Shaftesbury Ave, London W1D 5AY
contatti: http://www.palacetheatrelondon.org – http://www.harrypottertheplay.com