“Il corpo giusto”: se l’estetica causa dipendenza
All’Orologio di Roma, fino al 30 ottobre, il testo di Eve Ensler è accordo di humor e drammaticità, nella regia di Marcello Cotugno e nella femminile connivenza attoriale di De Vito, Carruba Toscano, Minelli.
Le conseguenze sono piccole e grandi manie, perversioni, assilli della visione; sono cancerogene agonie della ricerca del bello, della perfezione fisica, della guerra ai chili di troppo, alle calorie (e alle magre senza diete: ventre piatto “di costituzione” o per grazia di metabolismo accelerato ricevuta. Utopia), alle proporzioni sballate, ai visi e alle forme sempre da aggiustare. La causa è il vizioso “piacersi per piacere”, ovvero l’imposizione e la richiesta dell’Occidente consumistico contemporaneo alle donne (ma anche ormai, diremmo, agli uomini) quale fittizia, temporanea chance sociale per essere accettati, amati, confortati. L’effetto sono volontarie immolazioni attuali, virali, al dio(-business) dell’apparire; sono coscienti pressioni sacrificali di menti e vessazioni di corpi ed esistenze innescati da carichi di instabilità personali, collettive, umane. Il che ha come conseguenze quelle della prima riga.
É una drammaturgica antologia d’intime ed esterne fobie, ambizioni, illusioni, ansie, Il corpo giusto di Eve Ensler (anche autrice dei Monologhi della vagina), che ora, al Teatro dell’Orologio, molto apprezziamo nella visione scenica di Marcello Cotugno, e nella attraente, lucida complicità recitativa di Elisabetta De Vito, Federica Carruba Toscano e Rachele Minelli. A loro il compito di traghettarci, tra ritmicità ironiche e scoperte drammatiche, nell’inquietudine di chi è affamato di desiderio. Il desiderio di migliorarsi, sempre, senza tregue, e il terrore di soddisfarlo, di afferrare quel “vento tra le dita” e raggiungere davvero la perfezione, ed essere ormai intoccabili, irreparabili come un pezzo troppo guasto.
E in questo spazio (distribuito su una “scacchiera” di sedute, pedane e specchi, con zona studio quale ritiro appartato sullo sfondo) d’angoscia allegra, di euforia nevrotica, Cotugno chiede – e le interpreti ben rispondono – un sagace umorismo amaro (né volgare, né patetico) nel restituire le spasmodiche testimonianze femminili (e poi femministe) di modelle-Frankenstein con drenaggio incluso e appuntamento fisso dal chirurgo; di giovani donne in sovrappeso alle prese col digiuno indotto e nostalgiche abbuffate caserecce, e di altre seguaci di rimedi bulimici quale drastico rimedio all’ennesimo vitale impulso d’appetito; donne assuefatte da autoctoni canoni di bellezza con diktat su curve immancabili o intollerabili; donne schiave per scelta dello sguardo invidioso delle altre, e di quello giudice e compiacente di uomini (sessisti); e donne schiave per forza, con piaceri e identità annullate sotto il velo delle violenze talebane. E c’è in questo alternarsi, sovrapporsi di personalità, un attrito ponderato tra sofferenza interiore e sarcasmo espressivo che genera un cortocircuito di narrazione della realtà affascinante, coinvolgente, capace di dipanare consapevolezze intorno a vite “di plastica” annebbiate dal tormento di rincorrere l’eterno ideale (proprio, altrui), e lì restarvi. Per sconfiggere la morte, a costo di cascarci dentro.
Nicole Jallin
Teatro dell’Orologio
via dei Filippini, 17/a
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