A tu per tu coi Lehman Brothers di Luca Ronconi
“Retroscena”, ciclo trasversale di approfondimenti sul cartellone 2016/2017 dello Stabile di Torino, dedica due incontri al regista scomparso e alla compagnia in tournée con Lehman Trilogy.
É in atto, al Teatro Gobetti di Torino, un percorso a puntate d’avvicinamento e analisi degli spettacoli, dei protagonisti, delle poetiche incluse in questo 2016/2017 dello Stabile torinese. Si deve alla seconda edizione di “Retroscena”, ciclo di incontri – oltre 15 – pensato in collaborazione con l’Università di Torino, la distribuzione in parallelo sull’intera stagione teatrale (da ottobre a maggio) di vis-à-vis con artisti e autori del calibro di, per citarne alcuni, Gabriele Lavia, Valter Malosti, Valerio Binasco, Sabrina Impacciatore, Mario Martone, Umberto Orsini, Leo Muscato.
La volontà, nonché l’impegno e l’obiettivo del progetto è quello di «offrire al pubblico originali punti di vista e percorsi di interpretazione per gli spettacoli in scena. Leggere il teatro con gli occhi di chi lo scrive: una capacità che si può conquistare e perfezionare solo a stretto contatto con gli artisti e gli studiosi». A questo vanno aggiunte anche iniziative come “Qualcuno che tace: il teatro di Natalia Ginzburg”, in occasione dei cent’anni dalla nascita della scrittrice (con tre regie di Leonardo Lidi, più due convegni); due proiezioni al Cinema Massimo (Questi fantasmi di Renato Castellani e Il nome della rosa di Jean-Jacques Annaud), in collaborazione col Museo Nazionale del Cinema; e un doppio omaggio a Luca Ronconi, con un rivelatore “Speciale Ronconi a Torino” (lo scorso 10 novembre), tra contributi di memoria e di affetto di chi con il Maestro ha condiviso vita e lavoro, e un dialogo su Lehman Trilogy con la compagnia in scena al Carignano (fino al 20 novembre, poi dal 25 all’Argentina di Roma).
Moderato da Gianfranco Capitta, lo “Speciale”, con, tra gli altri, Massimo De Francovich, Fabrizio Gifuni, Paolo Pierobon, Massimo Popolizio, Roberto Zibetti, Franca Nuti, Valter Malosti, Daniele Salvo, Franco Prono e Sergio Ariotti (anche curatori del materiale video), Mauro Avogadro, Gilda Postiglione, Susanna Franchi, è stato un concorso di testimonianze, di eredità, di mancanze, divertite, malinconiche, commosse, in cui il pubblico ha potuto asserire, smentire, o scoprire per la prima volta, declinazioni di una personalità artistica e umana – e, il termine “umano”, parlando di Ronconi, lo sottolinea sorridendo Popolizio, non è per niente scontato – decisamente complessa, con basilari contrapposizioni d’indole e una presenza instancabile ed esigente, che sapeva essere cordiale e pure rigida e «non completamente gentile», come ha sottolineato Franca Nuti.
C’era in lui una severità rispettosa d’approccio testuale, una indiscussa genialità di lettura, intuitiva, immediata, una lungimiranza di sguardo interpretativo, una puntualità d’adesione tra personaggio e attore. E sul rapporto personaggio-attore, elemento centrale della sua ultima regia Lehman Trilogy di Stefano Massini, si è focalizzata la seconda data dedicata a Ronconi (svoltasi il 16 novembre) che ha visto la compagnia al completo (De Francovich, Gifuni, Falco, Pierobon, Popolizio, Zibetti, Cabra, Ciocchetti, Fernandez, Fasolo) in conversazione con Federica Mazzocchi, docente del DAMS torinese. Tre generazioni della famiglia Lehman a confronto. Tre generazioni di attori di Ronconi a confronto. Insieme per discutere di un lavoro partito da un testo pieno di tanti linguaggi (anche impliciti), da una iniziale folgorazione di lettura, poi sviscerata nella “messa in vita” dei personaggi/figure, della parola, della partitura gestuale, «calibrata tra indicazioni minuziosissime – ha commentato Fabrizio Gifuni – e movimenti accolti naturalmente, in quell’incontro di corpi tra attore e regista, ancor prima che tra attore e spettatore. E poi, con lui, il lavoro sul movimento era anche cinematografico: ricordo che Luca, in prova, tendeva il braccio e puntava una matita verso di noi per inquadrare la scena e distribuire voce, corpo e parola in campi e piani. La sua percezione, il suo sentire aveva qualcosa di straordinario».
La capacità intuitiva di Ronconi, l’osservazione di ciò che pareva già inscritto – più che solo scritto – nel testo (con personaggi che non possono essere, parlare, fare in altro modo se non quello che gli appartiene, quello proprio della loro identità: quello visto da Ronconi), il porre in coincidenza l’azione concreta con l’idea, l’immagine dello spettacolo che da subito maturava in sé, presupponeva un accostamento attoriale (per nulla semplice) a questa sua concezione preventiva che rispondeva anche a una sorta di “montaggio in tempo reale”: «Il montaggio – ha spiegato Popolizio – era alla base del suo lavoro. C’erano paletti registici molto chiari, soprattutto nell’ultima fase vitale, fisicamente indebolita dalla malattia, quando si avvalevano di una concentrazione massima, e di poche parole, precise, fondamentali: definivano il ritmo (fondamentale e diverso per ogni ruolo, ma ognuno complementare), stabilivano ciò che dovevi fare ma soprattutto ciò che non dovevi fare. E le prove, nelle quali non si “provava” soltanto, ma si riprendeva ciò che era già stato fatto in contemporanea previsione con ciò che sarebbe successo, erano davvero molto faticose».
C’è stato in questa occasione torinese il riconoscimento della forza, della lucidità e della generosità quasi sovrumana, rievocate da Paolo Pierobon, alla dedizione di Ronconi per questo lavoro; c’è stato l’ascolto di aneddoti su “lezioni” intese, imparate, custodite («Cerchi le emozioni nelle parole? Allora hai sbagliato parte, dovresti scendere in platea: quello è il compito dello spettatore», cita così, Roberto Zibetti, un personale monito del Maestro a lui rivolto); e c’è stata – e c’è tuttora, permanente – la consapevolezza dell’unione umana della compagnia, cresciuta, rafforzata – hanno confermato tutti gli interpreti – dalla scomparsa di quel “Capitano” imperativo, che ha causato una reazione di legame affettivo riflesso dentro e fuori lo spettacolo: «La bellezza di questo requiem – ha concluso Fausto Cabra – è che chi muore non se ne va davvero. Chi muore, rimane». Anche questo fa parte del lascito di Luca Ronconi.
Nicole Jallin
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