Slurp, quando la satira è targata Travaglio
Tratto dall’ultimo libro del giornalista, lo spettacolo indaga il rapporto tra potere e informazione attraverso la chiave dell’ironia, contro ogni (o quasi) conformismo.
A sentire Marco Travaglio al Bellini, che lo ha ospitato dal 18 al 20 novembre, non si può dire che ci fosse il tutto esaurito: ad accogliere il direttore de Il Fatto Quotidiano per la sua ultima fatica teatrale, tuttavia, una truppa di affiatati fan del medesimo (tra cui lo stesso sindaco di Napoli, Luigi De Magistris) che lo ha accompagnato vivacemente, rispondendo con fragorose risate ed applausi convinti alle felici intuizioni disseminate in due ore e quaranta minuti di spettacolo.
Slurp, dal caustico sottotitolo Lecchini, cortigiani & penne alla bava al servizio dei potenti che ci hanno rovinati, ripercorre gli ultimi trent’anni di rapporti tra stampa e potere in Italia, e svolge il compito con la solita precisione analitica cui Travaglio ci ha abituato, forzando di tanto in tanto la mano per dimostrare la tesi di fondo, cioè l’asservimento di buona parte dei giornalisti di grido ai potenti di turno, avvicendatisi nel corso degli ultimi tre decenni. Non è questa la sorpresa: da Travaglio ci si aspetta ricostruzioni attente ed irriverenti. La vera notizia, almeno per chi non ha mai assistito ad alcuno dei suoi spettacoli, è che da Travaglio si ride: proprio così. Risate di grana grossa, come quelle sulle deformità fisiche di politici e giornalisti citati; e risate a denti stretti, costruite con un attento lavoro di estremizzazione di contrasti e contraddizioni. Il tempo dello spettacolo appare allora compresso, grazie soprattutto alla ritmata regia offerta da Valerio Binasco, essenziale nella sua direzione. Una regia che riesce a tirare fuori il meglio anche da un non-attore come Travaglio, bravissimo d’altronde nell’interpretare se stesso senza sbavature; inappuntabile il supporto offerto da Giorgia Salari, che lungo tutta la durata dello spettacolo gli offre il prezioso contraltare di citazioni e articoli dei personaggi menzionati.
Nel racconto di Travaglio il vero teatro diventa allora la politica italiana recente e meno, incipriata da una stampa compiacente e poi lasciata al proprio destino al primo alito di vento contrario. Giuliano Ferrara, Bruno Vespa e Giovanni Minoli i più bersagliati dal giornalista torinese, che tuttavia non trascura i vari Fede, Feltri, Mughini e Cerasa resisi protagonisti di sguaiate celebrazioni e meschine figure nel lodare l’effimera potenza di questo o quel Presidente, onorevole o industriale. Un malcostume a cui, dice Travaglio forse con un pelo di ingenuità, il lettore (ed elettore) moderno può oggi porre un freno, protestando attivamente sui social e facendo sentire la propria voce: una conclusione, questa, che lo avvicina ad alcuni passaggi del Casaleggio-pensiero ed alla sua messianica fede nella Rete e nei suoi strumenti di interazione. La chiusura non può che riguardare il referendum del 4 dicembre (con relativa indicazione alla platea a preferire l’opzione del “No”) e l’invito ad acquistare il Fatto Quotidiano da lui diretto, fonte giornalistica che, a suo dire, si sottrae al vergognoso andazzo mistificatorio denunciato nello spettacolo ormai al termine: “ogni scarrafone”, d’altronde…
Antonio Indolfi