Calcedonio, chi era costui?
Il testo scritto da Manlio Santanelli nel 1989, ritorna in scena per la regia di Orlando Cinque, debuttando al Ridotto del Mercadante di Napoli.
L’incomunicabilità nelle relazioni interpersonali – tema oggi ampiamente indagato – era questione che il maestro Manlio Santanelli affrontava già nel 1989 con la stesura di Calcedonio, testo drammaturgico che ruota intorno ad una semplice quanto perfettamente costruita storia: tre amici, di cui una coppia, a cena insieme, faticano a trovare argomenti di conversazione se non quando il ricordo cade su un amico comune – Calcedonio, appunto – e sull’età che potrebbe avere, per indovinare la quale i tre iniziano a riportare alla mente avvenimenti, date e numeri senza che mai i conti tornino.
Se da un lato, pertanto, lineare si prospetta il pretesto di partenza, è poi nell’articolazione dei dialoghi che lo stessa rivela, dirompente, la sua complessità sintattica e strutturale, in cui ciascuna parola e ogni riferimento storico è scelto con la dovizia propria della scrittura santanelliana, e in grado di creare una solida impalcatura di senso (dove anche i silenzi e le pause parlano) al cui interno i personaggi – Vitaliano, Egisto e Cesarina – possono muoversi con sicurezza e coerenza.
Questa dunque la premessa, il punto fermo da cui partire per l’analisi – che non pretendiamo essere esaustiva – della messinscena diretta e interpretata da Orlando Cinque, con Federica Aiello e Angelo Laurino, al suo debutto al Ridotto del Mercadante di Napoli, lo scorso 17 gennaio (e in calendario fino al 22).
Prima volta in cui Cinque si confronta con uno scritto del drammaturgo e scrittore, tra i più tradotti e rappresentati, il regista sceglie innanzitutto di conferire un peso specifico alla data di composizione dell’opera e dunque all’anno durante il quale i fatti si svolgono, legando la vicenda privata a un fatto storico significativo a cui affida l’apertura di spettacolo: la caduta del Muro di Berlino, evento che non interferirà minimamente nell’intreccio che seguirà, ma scelta registica fatta per «chiudere dentro una data – come avviene nei libri di storia – la perdita degli ideali dei personaggi per non soffrire più».
Se infatti l’incapacità a comunicare era ciò che aveva interessato l’autore, nell’adattamento firmato da Cinque è il «concetto di memoria, della perdita di giovinezza e degli ideali legati ad essa, e soprattutto l’uso della memoria che a volte serve a nascondere», come afferma, la lente attraverso cui egli sceglie di rileggere la drammaturgia, in un confronto – probabilmente forzato – tra memoria individuale e memoria collettiva, tra realtà reale e realtà immaginaria, tra passato e vita corrente. Ecco allora le atmosfere farsi cupe (da dichiarato “thriller esistenziale”), la commedia originaria perdere la sua leggerezza non banale né superficiale, e le singolari invenzioni di rimandi, calcoli e congetture – perno dell’intera struttura – per indovinare la data di nascita del fantomatico Calcedonio, rischiare di non figurare nella loro lucentezza, adombrate da un malessere che se sottinteso nel testo, qui ci è sembrato, invece, si sia voluto con enfasi sottolineare, con l’effetto di trasformare il silenzio (del non sapere cosa dirsi) in percepita lentezza, gli oggetti in simboli da decifrare, alcune scene in bui anche non necessari.
Ciò nonostante, mantengono bene il gioco – all’interno di una scenografia, in cui predominano i libri, realizzata da Laura Simonet e messa in luce dal disegno di Cesare Accetta – i protagonisti, tra cui in particolare si distinguono la Aiello, che conferma la sua peculiarità a combinare sapientemente e con naturalezza, nello stesso personaggio, ironia e drammaticità, e Laurino, che molto bene restituisce al suo Egisto la non esuberanza che lo contraddistingue e che si pone in evidente contrasto con la spavalderia di Vitaliano, a cui dà voce e fisionomia lo stesso Cinque nel ruolo del deus ex machina che scatena ogni volta l’azione prima che la stasi sopraggiunga per poi ricominciare tutto daccapo. Come avviene per un meccanismo che si mette in funzione solo ogni volta gli venga data la carica. Ma davvero poi i nostri avevano vite così piatte da non rappresentare valide occasioni di reciproco confronto e dialogo? O al contrario è forse più facile parlare degli altri anziché di se stessi? Al finale la risposta, mentre il silenzio prende il sopravvento, ancora una volta, portando con sé i tre amici, le loro storie e le rispettive zone d’ombra – disseminate durante lo sviluppo della vicenda – ma volutamente lasciate tali.
Agli spettatori, se vorranno, l’opportunità di immaginarne i possibili risvolti.
Ileana Bonadies
Ridotto del Mercadante
piazza Municipio – Napoli
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