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Ospitato dal Piccolo Bellini il 24 e il 25 gennaio, il meritorio lavoro teatrale realizzato dal Laboratorio Territoriale delle Arti dei Maestri di Strada, grazie al quale Aristofane è ritornato sulle tavole in tutta la sua freschezza e umanità.

Fonte foto Ufficio stampa

Foto Claudia Nuzzo

Il teatro è uno spazio portentoso: al suo interno – a condizione che vi siano almeno poche assi di legno per formare un palco e dei sedili per ospitare astanti e curiosi – le storie autentiche, le false, quelle di fantasia e le serie si fanno vita e gesti e subito vere; le parole di tutti gli uomini – quelle del passato e quelle del presente insieme – si tramutano in azioni, e in due battute le maschere diventano volti vivi e sentimenti che invadono lo spazio del pubblico e lo incollano alla sedia. Par quasi di poterlo toccare, questo circo complessivo, questa vita simulata e vera a un tempo; sembra quasi di esserci dentro, tanto è labile il confine della quarta parete, al punto che gli spettatori, se attentamente condotti per mano, sono proprio come i bambini che assistono a prodigi, sempre pronti a sorprendersi, sempre pronti a ridere e piangere e battere le mani con il naso all’insù.
Che importa che sia vero oppure no? A teatro conta solo ciò che è giusto.
Il Piccolo Bellini ha ponderato con attenzione cosa sia giusto e, di conseguenza, ha sapidamente scelto quale magia proporre al suo pubblico: il 24 e il 25 gennaio lo spazio è stato donato ai giovani allievi del Laboratorio Territoriale delle Arti dei Maestri di Strada, i quali, davvero saggiamente diretti da Nicola Laieta, hanno dato una bella e giovanile strigliata alla nutrita platea accorsa nella sala di via Conte di Ruvo, portando in scena una piéce che può vantare appena 2500 anni di storia: la Lisistrata di Aristofane, messinscena del 411 a.C. e del 2017 dell’era gentile, incredibilmente capace ancora oggi – e ancora per molto, si può ritenere pacificamente – di emozionare chiunque sia ben disposto verso il sorriso, l’intelligenza umana, la spregiudicata capacità umana di adattamento ma, su ogni cosa, la pace, bene primario e prioritario da inseguire con cocciutaggine e costante convincimento fino a che le forze in campo non si disciolgano – e Lisistrata è un nome chiaramente parlante (“colei che scioglie gli eserciti“) per chi mastichi un  po’ di greco antico.

Foto Claudia Nuzzo

Foto Claudia Nuzzo

Ricorrendo ad un saporito pastiche di italiano e napoletano e con l’ausilio di convincenti scelte musicali e coreografiche – per le quali occorre tributare sinceri complimenti ad Ambra Marcozzi -, i tanti ragazzi in scena (Domenico Bisogni, Agostino Borroso, Gabriele Buo, Filomena Carillo, Nadia Carfagna, Alessio Dalia, Antonio D’Amato, Giuseppe di Somma, Giuseppe Esposito, Salvatore Esposito, Sirya Giulietti, Francesco Giglio, Maria Improta, Patrizia Guadagnolo, Francesca Liberti, Carmine Marino, Giulia Menna, Gaetana Napolitano, Luca Navarra, Lucia Noviello, Gennaro Pantaleno,  Chiarastella Riccio, Martina Scognamiglio, Gianluigi Signoriello) hanno reinterpretato le sempreverdi scene aristofanee – naturalmente private dei riferimenti più stringenti relativi alla stagione politica ateniese della guerra del Peloponneso – con una chiarezza ed un’immediatezza capaci di coinvolgere in ogni passo e di lasciare impresso il sorriso negli occhi degli spettatori.
Su tutti, almeno tre momenti si lasciano apprezzare in maniera rilevante: la visione della guerra per opera di Lisistrata, durante la quale il suo racconto delle gesta viene portato in scena, sullo sfondo, dai belligeranti stessi, in modo da creare una sorta di responsione tra ciò che si verifica e ciò che l’animo umano percepisce; i lazzi reciproci tra gli anziani e le anziane della città, resi credibili dalle bellissime e dettagliate maschere indossate – nota di merito per la costumista Annalisa Ciaramenella, così come per le scene organizzate da Peppe Cerillo; la narrazione e il pianto disperato e meraviglioso di una madre ateniese per l’arrivo di corpi morti dalla guerra (corpo dei cari, corpo dei figli, corpo di suo figlio), con una sincera emozione per la sala.
Ma la più grande esigenza per uomini e donne, anziani e giovani, ricchi e poveri, fiore comune per l’umanità e fine ultimo della messinscena non può che essere il grido, alzato forte da tutti in scena e che accompagnerà gli astanti come un ritornello e un dovere perenne: Pace! Pace! Pace!
Ne avremmo davvero tanto bisogno…

Antonio Stornaiuolo

Piccolo Bellini
via Conte di Ruvo 14 – Napoli
contatti: www.teatrobellini.it

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