Cenerè, una principessa senza fata né zucca
Al ritmo di un tango elettronico la favola riscritta da Luigi Imperato insegna ad avere coraggio e a realizzare i propri sogni credendo in se stessi.
Cenerentola è tra le favole più note e amate da grandi e piccini: la dolcezza della povera orfanella che viene maltrattata dalla matrigna e dalle sorellastre conquista da sempre tutti i cuori; così come la magia della notte del ballo in cui grazie ai prodigi di una fatina riesce a splendere in tutta la sua bellezza arrivando a conquistare il principe azzurro è il sogno di tutte le bambine, più o meno cresciute.
La storia di Cenerentola, però, forse non tutti sanno che appartiene alla tradizione napoletana più che a tutti gli altri paesi del mondo, infatti – sebbene si facciano risalire le origini addirittura alla Cina o all’antico Egitto – , è di Giambattista Basile la prima versione scritta della favola a cui probabilmente si sono poi ispirati sia il francese Perrault che i tedeschi fratelli Grimm.
L’opera di Basile, La Gatta Cenerentola, a sua volta è una trascrizione del 1600 dei racconti orali popolari del Sud Italia dove la favola assume mille diverse varianti, tutte molto diverse da quella più romantica passata poi alla storia grazie anche al celebre cartone animato della Disney. La vicenda della scarpetta è addirittura presente nel culto della Madonna di Piedigrotta a Napoli così come riporta Roberto de Simone nei suoi studi sulla favola in questione. Secondo una tradizione dei pescatori di Mergellina, la Madonna perde una pianella (ndr scarpa) sulla spiaggia napoletana; pianella che, ritrovata da un pescatore, avrebbe condotto alla scoperta di una statua della Vergine nella grotta di Posillipo. Da tale ritrovamento, poi, sarebbe sorto il culto della Madonna locale, onorata dalle donne napoletane mediante un talismano a forma di scarpetta (‘o scarpunciello d’a Maronna).
Qualunque sia la versione, la protagonista è sempre e comunque Cenerentola, una ragazza bistratta e sfruttata dalla famiglia adottiva che sogna di andare al ballo e quando ci riesce, risulta la più bella di tutte e l’unica soprattutto a conquistare il cuore del principe.
Anche Ceneré, l’adattamento scritto da Luigi Imperato e diretto insieme a Rosario Lerro, portato in scena prima al Teatro Civico di Caserta e l’11 e 12 febbraio al Nuovo Teatro Sanità, da Roberto Solofria con Ilaria delli Paoli, Valeria Impagliazzo e Claudia Gilardi, racconta la storia di Cenerentola, ma questa volta la vicenda è priva di qualunque intervento fatato.
Cenerentola, o per meglio dire Cenerè, è una figlia e sorella non amata e per tale motivo vittima di scherzi e angherie da parte sia della matrigna che delle sorellastre. Come la sua omonima la fanciulla desidera solamente essere voluta bene e andare al ballo con loro ma per lei nessuna fatina appare all’improvviso per farle l’abito e darle una carrozza. Senza perdersi d’animo, pertanto, Cenerè si ingegna per presentarsi degnamente al ricevimento di corte senza destare sospetti nei suoi familiari e tra un ballo e l’altro riesce anche ad attirare l’attenzione e l’interesse del reale padrone di casa.
In questa riscrittura della favola, la protagonista è sempre una romantica sognatrice ma al contempo svelta, pragmatica e caparbia, e non si lascia avvilire e scoraggiare né dalle sorellastre nè dagli eventi avversi. Pur di raggiungere il suo sogno si adopera in prima persona: cerca il vestito e le scarpe, arriva al castello e balla da sola fino a diventare la dama del cavaliere tanto agognato. Quando poi si trova, alla fine, a tu per tu con l’uomo dei suoi desideri e con la scarpetta al piede si lascia anche prendere da un dubbio: starà facendo la cosa giusta? È quindi una donna quanto mai moderna quella tratteggiata – e tale aspetto è sottolineato anche dalle musiche originali di stampo elettronico di Paky Di Maio -, dalla cui storia si evince che tutto è possibile se ci si impegna “basta soltanto avere il coraggio di attraversare una porta e mostrarsi al mondo per quello che si è. Senza finzioni, senza abbellimenti, contando soltanto sulle proprie forze”, come spiegano i due registi. Le sorellastre, splendidamente contrapposte alla mitezza di Cenerè, sia nei gesti che nel modo di parlare che nelle espressioni, sono le classiche ragazze odiose e invidiose, molto vicine a quelle francesi, mentre la matrigna – uno spassoso personaggio nonostante il ruolo che deve ricoprire – , richiama alla mente la versione napoletana, sia per il modo di parlare sia perchè anch’essa è interpretata da un uomo.
La messa in scena, essenziale, ripropone l’ingegnosa scenografia mobile, a cura di Antonio Buonocore con Francesco Petriccione, di Rosaspina (il precedente lavoro sempre nato dalla penna di Luigi Imperato e ispirato alla favola della bella addormentata nel bosco) e permette di ricreare diversi ambientazioni giocando solo sull’alternarsi di scatole, luci e decorazioni. Dello stesso stampo i costumi di scena di Alina Lombardi che, nella loro semplicità, necessitano solo di qualche dettaglio per divenire abiti da (finte) fatine o da sera, o ancora per trasformare la matrigna in principe, e tutto ciò – insieme ad una perfetta sincronia tra gli attori -, permette alla trama di evolversi senza che nessuno degli interpreti esca mai di scena.
Dunque, se siete stanchi della solita edulcorata fiaba, ecco che Cenerè ha il grande merito di farvi venire la voglia di rimboccarvi le maniche e scendere in pista per conquistare il vostro amato, perché in fondo non c’è bisogno di nessuna magia per far avverare i propri desideri, bisogna solo credere di più in se stessi!
Irene Bonadies
Nuovo Teatro Sanità
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