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In scena al Teatro Nuovo di Napoli fino al 26 febbraio, Ottavia Piccolo e Silvano Piccardi sono chiamati a risolvere l’Enigma di Stefano Massini, tra certezze perdute e identità rubate dal Tempo e dalla Storia. 

Enigma di Stefano Massini

Foto L. De Frenza

Berlino 2009. Un piccolo appartamento al numero 17 di Friedrichstraße, pieno di scartoffie e libri, malandato e solitario, è la scena, il campo sul quale si sfidano Ingrid e Jacob, protagonisti di Enigma, testo scritto da Stefano Massini, dal 2015 consulente artistico del Piccolo Teatro di Milano. A vestire i panni dei due personaggi: Ottavia Piccolo e Silvano Piccardi, che ha curato anche la regia dello spettacolo. Nel buio di quella casa, resa, sinesteticamente, ancora più grigia dall’incalzante pioggia battente che non accenna a cessare, campeggia la scritta “Enigma, niente significa mai una cosa sola”, titolo e chiave di lettura dello spaccato teatrale che di lì a poco accadrà sotto gli occhi dello spettatore.
A rafforzare il senso dell’etimologia della parola Enigma, che per l’appunto vuol significare parlare in maniera oscura, misteriosa, un’altra scritta ci ammonisce e ci avvisa che “uno dei personaggi mentirà, sapendo di mentire”. Lapidaria, la frase dà inizio alla successione dei dieci segmenti, con cui Massini, nella scrittura, e Piccardi, nella regia, costruiscono un ingranaggio elegante, semplice e perfetto, in cui la menzogna pian piano si sgretola, tra suspense e tensione, e con i suoi frammenti disegna il dramma delle due esistenze in scena.

Enigma di Stefano Massini

Foto L. De Frenz

Sono passati vent’anni dalla caduta del muro e le macerie di quella cortina che divideva la città hanno causato sofferenza e smarrimento. Seppur doloroso, l’innalzamento di quel limite aveva segnato le vite e le abitudini delle persone, era diventato un punto di riferimento, un totem a cui rivolgersi e che dettava legge in merito al modo di vivere e di pensare. La sua frantumazione, simbolo di una libertà necessaria, troppo a lungo negata, aveva significato anche la perdita di ogni certezza e l’avvento della diversità, in una Berlino Est in tutto controllata e sorvegliata dalla Stasi. È questo il nodo su cui s’interroga Jacob Hilder, incallito fumatore e professore di matematica in pensione, che si diletta a passare il tempo risolvendo indovinelli: “È solo follia rendere i diversi più uguali?”, quesito che lo tormenta e che lo avvicina alla nostalgia di Ingrid, insegnate di storia, anche lei in pensione. L’incidente, non così fortuito, che vede l’uomo colpevole di aver investito la donna con la sua auto, li costringe ad una conversazione scomoda, in cui i ruoli vittima e carnefice rimbalzano sui corpi e nelle parole di entrambi, al termine di ogni segmento; un’alternanza che evidenzia, di volta in volta, un punto di vista privilegiato, ponendo l’accento sulle battute conclusive di ogni brano, vere e proprie sentenze su cui è intessuto il flusso narrativo. Quella “Storia che è carne, perché ogni volta che si gira pagina, si crea una ferita: il prima e il dopo, dove il prima pesa cento volte più del dopo”, per dirla come Ingrid, ha fagocitato entrambi. Eppure “il cadavere di chi erano prima, gli resta sempre addosso”, nonostante la perdita d’identità subita, rubata da quella realtà così sguaiata, parafrasando il testo di Massini, nei dettami di una logica spietata e brutale, rivolta all’utile, a cui spesso obbliga la Storia.
La soluzione dell’enigma a cui sono chiamati Jacob ed Ingrid è il disvelamento della loro identità, la reale causa del loro incontro. Ottavia Piccolo e Silvano Piccardi sono potenti strumenti in scena che veicolano la scrittura di Massini. Dei personaggi che disegnano fanno affiorare paure, speranze, ricordi e rabbia. Si arrovellano nel tentativo di far funzionare un ingranaggio rotto, un lavoro minuzioso e di pazienza come quello di aggiustare orologi, a cui la donna si è dedicata nel negozio del fratello. Ma la scelta, se il ticchettio di quell’orologio riprenderà a funzionare o resterà bloccato, è lasciato al Tempo e alle loro coscienze e alla coscienza collettiva, ancora oggi, in qualche modo, smarrita e derubata del suo vivere presente in un mondo globalizzato, sempre più assediato da frontiere.

Antonella D’Arco

Teatro Nuovo di Napoli
Via Montecalvario 16 – 80134 Napoli
Info e prenotazioni: 0814976267 | www.teatronuovonapoli.it

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