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Filippo Timi e Marina Rocco portano in scena al Teatro Bellini di Napoli, dal 21 al 26 febbraio, una rilettura del capolavoro di Henrik Ibsen per la regia di Andrée Ruth Shammah.

Una casa di bambola, Filippo Timi

Fonte foto Ufficio stampa

Se vi fosse capitato di partecipare ad un ricevimento presso una buona famiglia scandinava del primo Novecento, probabilmente avreste trovato impresso sul biglietto di invito “Si prega di non discutere di Casa di bambola”; l’aneddoto, narrato da Benedetto Croce, rende bene l’idea dello scandalo suscitato dall’opera ibseniana in una società ancora profondamente segnata da schematismi morali vittoriani.
Cosa resta oggi delle tensioni provocate dal capolavoro dell’autore norvegese, dunque? A un anno dalla messa in scena realizzata da Di Palma al Mercadante, arriva al Bellini la versione di Andrée Ruth Shammah, che si avvale del lavoro di Marina Rocco e Filippo Timi. Nelle mani della regista, qui anche traduttrice e adattatrice, il travaglio di Nora non esce dall’alveo della questione femminile, anzi; sembra proprio che l’autrice milanese voglia insistere sulla faccenda dell’emancipazione, evitando di eviscerare gli altri temi sottesi alla drammaturgia ibseniana o provando interpretazioni alternative a quella classica. Nora entra ed esce, allora, dalla platea, perché il suo travaglio è anche quello dello spettatore; ed in più occasioni i personaggi mostrano di rivolgersi direttamente al pubblico, come a tenerlo a parte della scena.
Quella della riflessione sulla morale e sui cliché di genere è una possibile lettura, che ad esempio ne esclude un’altra sul ruolo di Nora come eroina tipicamente kierkegaardiana, capace di rinunciare ad ogni legame con la societas una volta presa coscienza della propria natura intrinseca. La “casa di bambola” di Shammah è dunque “una casa di bambola” e solo una, come da titolo: riducendo le complessità ibseniane e adagiandosi su una sola delle potenziali chiavi interpretative, giunge alla creazione di uno spettacolo magari più fruibile ma sicuramente meno profondo di quanto fosse auspicabile, rimandando ad altro appuntamento una seria opera di rilettura contemporanea sulla (ex) famiglia Helmer.

Una casa di bambola, Filippo Timi

Fonte foto Ufficio stampa

Da leggere in questa prospettiva sono diverse scelte stilistiche: quella di attribuire tutti i ruoli maschili a Timi, ad esempio, lasciandolo libero di esprimersi da autentico mattatore; oppure quella di concedersi una scenografia tutta in tinta pastello, che ricorda certe case di bambole dell’art nouveau.
Se questi elementi appaiono il frutto di una comunque coerente interpretazione dell’opera portata in scena, più sconnessi appaiono i momenti di stonata comicità e talune lungaggini che portano lo spettacolo alla ragguardevole durata di due ore e cinquanta minuti senza aggiungere alcunché al significato della pièce.
Quel che vien fuori è un adattamento che funziona a singhiozzi, forte com’è di interpreti in ottima forma (da non sottovalutare anche la prova precisa di Mariella Valentini nei panni di Kristine Linde); una rappresentazione incapace, tuttavia, di materializzare appieno la profondità di Ibsen, appiattendolo su una bidimensionalità che ne riduce la grandezza. Peccato.

Antonio Indolfi

Teatro Bellini
via Conte di Ruvo 14 – Napoli
contatti: http://www.teatrobellini.it/ –  081.5491266

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