Eduardo, Martone e il Nest
A San Giovanni a Teduccio in scena fino al 17 marzo “Il Sindaco del rione Sanità” di De Filippo, nella nuova veste che gli conferisce Francesco Di Leva insieme ad un gruppo coeso di attori che dalla periferia di Napoli punta a fare centro.
di Ileana Bonadies
Non è una operazione nostalgica Il sindaco del rione Sanità di Eduardo De Filippo, diretto da Mario Martone (con la collaborazione di Giuseppe Miale di Mauro) e prodotto da Elledieffe, NEST Napoli Est Teatro, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, in scena fino al 17 marzo al Nest di San Giovanni a Teduccio dove ha debuttato in prima nazionale lo scorso lunedì 6.
E a dimostrarlo, senza lasciare dubbi, è innanzitutto il nome del protagonista, Francesco Di Leva, classe 1978, e ancora molti anni davanti prima di raggiungere quella che era l’età immaginata da De Filippo per il suo Sindaco, ovvero settantacinque. Traslarlo nel tempo, dunque, è stata la prima operazione compiuta sul testo scritto nel 1960, tra i più cari al suo autore: «Forse perché la mia ultima commedia che presentai al Quirino, a Roma, con grande successo», e ringiovanirne, di logica, anche tutti gli altri personaggi la diretta conseguenza che ne ha determinato una immediata aderenza al tempo presente. Un tempo in cui criminalità e legalità non solo continuano ad esistere ma, in particolare a Napoli, dimostrano di poter convivere senza marcati confini, all’interno dello stesso quartiere, della stessa famiglia, della stessa persona. Scontrandosi «in una partita senza vincitori», come afferma Martone, rispetto alla quale la città resta però sempre e soltanto «una e per quanta paura faccia, nessuno può pensare di tagliarla in due».
Simbolo indiscusso di questa medaglia dalla doppia faccia, Antonio Barracano, il “giustiziere” – così lo definisce Eduardo –, criminale alla stessa maniera di quelli che a lui si rivolgono perché con il suo intervento si possa ristabilire l’ordine, eppure detentore di principi di giustizia ed equità che ne fanno una voce autorevole fuori dal coro illegale che invece lo circonda.
Ma se De Filippo lo aveva tratteggiato come un uomo al tramonto, “crepuscolare”, aggiunge Martone, e dunque detentore di una saggezza che sembrava facile – ad uno sguardo esterno – attribuire all’età e al suo vissuto, in questa nuova versione la sua azione si fa esasperata e più violenta, riflettendo quella che è la natura della criminalità oggi (sempre più in mano a giovanissimi boss) e al contempo acuendo la duplice natura della sua personalità, in perenne bilico tra innocenza e colpevolezza. Così come disposti sul flebile crinale bene-male sono anche gli altri personaggi (esemplare in tal senso la figura di Rita, interpretata da Lucienne Perreca, descritta non più innocente e ingenua, ma dall’ atteggiamento sfrontato e sicuro), a cui il compito di fungere da moltiplicatori di questa condizione, che a differenza dell’originale, ancor di più restringe ogni visibile differenza, costringendo chi guarda a scegliere – con conseguente assunzione di responsabilità – dove collocarli, quale temperatura riconoscere al loro agire, quale evoluzione ciascuno di essi potrà avere.
Una chiamata alla responsabilità dello spettatore che ci sembra farsi metafora di quella che è una esigenza, in realtà, che se portata fuori dal teatro e calata nella vita reale, è riconducibile a ciascuna persona in quanto cittadino rispetto a quello che gli sta intorno, nel quale si imbatte e che lo vede coinvolto al fine del giudizio chiamato ad esprimere e della successiva scelta, a cui non può e non deve sottrarsi se intende essere parte attiva di una società che non ammette (come la legge) ignoranza. La stessa ignoranza che Barracano intende difendere contro l’astuzia, «per restringere la piaga dei delitti» afferma, e che invece gli sarà fatale.
Sarà a questo punto tutto perduto? Non alla morte da vero martire, oseremo dire, di Barracano il compito di rispondere, bensì alle scelte emblematiche di chi gli è stato affianco – il medico Fabio Della Ragione (l’ottimo Giovanni Ludeno), suo complice ma anche voce della coscienza che troppo ha udito e visto per sopportare ancora – e di chi che ne ha provocato la materiale fine – l’autoritario panettiere Arturo Santaniello (l’algido Massimiliano Gallo) la cui vicenda legata a quella del figlio Rafiluccio (Salvatore Presutto) si erge a esempio del modus operandi del Sindaco -, la decisione ultima da cui far dipendere il futuro da qui in poi, in una sorta di passaggio del testimone ora che l’ago della bilancia è distrutto per sempre ed è tempo di “crescere”, prendere una posizione, al di là di ogni guida che tracci il percorso.
Ed è proprio in questo passaggio che una ulteriore importante differenza si delinea rispetto alla stesura eduardiana, a sottolineare la scelta registica di affrancarsi da ogni ingombrane eredità; al fine di liberare l’intero cast – a partire dal difficile ruolo a cui è chiamato Di Leva che conferisce al suo Antonio una nuova credibile immagine, risultato anche di una maturazione che progressivamente lo sta investendo come attore ma anche e soprattutto come persona -, dal peso del confronto con i precedenti allestimenti (in primis quello con lo stesso De Filippo, e poi ancora con Carlo Giuffrè ed Eros Pagni) e dei cambiamenti che inevitabilmente la stessa malavita di cui si parla ha subìto negli anni e che, se non contemplati, avrebbero determinato una minor presa dell’intera storia sulle coscienze di tutti non assicurando la forza dell’identificazione.
Quella identificazione che, invece, assume un ulteriore valore nel momento in cui si contempla la genesi, durata due anni, che ha portato all’ideazione e alla successiva realizzazione dello spettacolo: per volontà di un collettivo tenace quanto idealista a cui Luca De Filippo concesse i diritti riconoscendo una comunione di intenti con la vocazione sociale del padre; in una realtà difficile come è la periferia Est di Napoli; all’interno di una ex palestra dismessa divenuta teatro; coinvolgendo un gruppo di attori (formato, oltre ai già citati, da Adriano Pantaleo, Giuseppe Gaudino, Daniela Ioia, Gennaro Di Colandrea, Viviana Cangiano, Mimmo Esposito, la piccola Morena Di Leva, Ralph P, anche autore delle musiche originali, Armando De Giulio, Daniele Baselice), alcuni dei quali alla loro prima esperienza ma con alle spalle una notevole spinta motivazionale a supportarli.
Se poi a ciò si aggiunge il nome “ingombrante” del più autorevole autore napoletano, quello di Martone a confronto per la prima volta con una sua drammaturgia, e lo spirito di diffuso rinascimento teatrale che sta investendo, con molteplici esperienze messe in campo, il centro e la periferia della città, ecco allora ritrovarsi ad applaudire una vittoria condivisa. Forse impensabile all’inizio ma ora tangibile, significativa e utile, così come esattamente avrebbe voluto Eduardo.
Nest – Napoli Est Teatro
via Via Bernardino Martirano, 17, ex scuola Giotto/Monti – San Giovanni A Teduccio, Napoli
comntatti: info.teatronest@gmail.com – http://www.napoliestteatro.com/