L’amore non riunificherà le due Coree
In scena fino al 26 marzo al Teatro Nuovo di Napoli l’opera di Joël Pommerat, per la regia di Alfonso Postiglione, metafora per interrogarsi sulle difficoltà di ri-unione di due anime gemelle.
Dopo la breve comparsa sul cartellone del “Napoli Teatro Festival” di un paio d’anni fa, Alfonso Postiglione riporta in scena La riunificazione delle due Coree; stavolta il testo di Joël Pommerat – tradotto da Caterina Gozzi e prodotto Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro – viene rappresentato al Teatro Nuovo di Napoli (dove sarà in scena fino a domenica 26), potendo contare praticamente su quasi l’intero cast originale: dal 2015 gli unici cambiamenti riguardano Paolo de Vita (in luogo di Paolo Musio) e Giulia Innocenti (che ha nel frattempo ha sostituito Aglaia Mora).
Lo spettacolo, nonostante il titolo fuorviante, non ha nulla a che fare con la situazione geopolitica asiatica; il titolo, infatti, è preso a prestito da una delle diciotto scene che lo compongono (una delle più riuscite, invero). Trattasi, invece, di una rappresentazione ambiziosa riguardo l’amore e le relazioni umane, condotta tramite un alternarsi di scene comiche e drammatiche, ognuna con i suoi propri personaggi (ogni attore, infatti, finisce per interpretare quattro o cinque ruoli lungo l’arco della propria performance). Il sagace drammaturgo francese ci porta, dunque, nelle spire del sentimento per eccellenza, ponendo domande e riassumendo dilemmi esistenziali con l’escamotage di una raffigurazione quasi-onirica: il surreale svela il reale, nelle intenzioni di Pommerat, e ci permette di cogliere le contraddizioni di eros e ragione.
La giustapposizione di più scene, perlopiù slegate tra loro, permette all’autore di non dover scendere a compromessi con un’unica trama, ma di balzare da un frame all’altro senza perdere in incisività; quella che viene fuori è una rappresentazione cubista, in cui ogni “quadro” costituisce una parte del tutto senza la pretesa di assorbirlo o di sintetizzarlo. I “frammenti del discorso amoroso” di Pommerat chiamano in causa lo svuotamento di senso di frasi fatte e luoghi comuni (riguardo l’amore, appunto) che permeano l’immaginario collettivo: più volte si sente ripetere l’espressione “l’uomo/la donna della mia vita”; fino all’ultima scena in cui il personaggio interpretato da De Vita, partito per recitarla per l’ennesima volta, vi rinuncia in corso d’opera, come se ormai consapevole della vacuità della formula.
Se la suddivisione in quadri ha i suoi indubbi pregi, non meno evidenti risultano essere i difetti: in specie durante quelle (e non sono poche, su diciotto) che risultano meno incisive, meno capaci di aggiungere qualcosa di nuovo o di sorprendere davvero lo spettatore. A risentirne è il ritmo dell’intero spettacolo, che non trae giovamento dalla presenza di diversi momenti morti da cui non riesce a salvarsi nemmeno grazie alla brillante prova degli attori in scena (Sara Alzetta, Giandomenico Cupaiuolo, Biagio Forestieri, Laura Graziosi, Gaia Insenga, Armando Iovino, Giulia Weber, oltre ai già citati De Vita ed Innocenti). Chi non ha la pazienza per attendere i momenti più felici abbandonerà la platea anzitempo (e non pochi casi del genere sono quelli a cui abbiamo potuto assistere durante la prima): ma chi resta finisce per applaudire ed anche convintamente.
Antonio Indolfi
Teatro Nuovo
Via Montecalvario, 16,Napoli
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