L’odissea di Aleksandros in “Albania casa mia”
All’Elicantropo in scena fino al 2 aprile il racconto vivo e toccante – ispirato ad una storia vera – di un viaggio della speranza che sa di sofferenze, approdi verso nuove terre, abbandoni, speranze, tra lacrime e sorrisi.
Una mappa dell’Albania disegnata su uno sfondo nero, una luce puntata addosso nel buio pesto della sala, niente più: se qualcuno fosse in cerca di una dimostrazione di quanto poco basti a creare la magia del teatro (del buon teatro), potrebbe facilmente trovarla in Albania casa mia, spettacolo in scena all’Elicantropo fino a domani 2 aprile.
Autore ed unico attore è Aleksandros Memetaj, la cui storia scorre nell’ora di monologo come un fiume in piena. Albania casa mia è il racconto di Aleksandros e del padre Alexander, rispettivamente italiano nato in Albania ed albanese trapiantato in Italia a 30 anni: due prospettive diverse, un’unica storia.
Il giovane Aleksandros ci porta per mano nei cortili delle scuole di Fiesso d’Artico, luogo eletto per la nuova vita della famiglia Toto/Memetaj, dove impariamo con lui cosa significa crescere in terra straniera, tra emarginazione e sfottò (“Albania casa mia”, appunto, è la più classica delle prese in giro rivolte ad un bambino albanese). Il profondo Nord accoglie e respinge, dà lavoro (e quindi vita) ma fa sentire sempre un po’ fuori posto: naturale, allora, quella perenne sensazione di “stare in mezzo” che il giovane ci restituisce come cifra della propria esistenza.
L’incontro con Valona, città di origine dei genitori, segna lo spartiacque tra la prima e la seconda parte: in un ideale chiasmo, il racconto del primo viaggio di Aleksandros verso l’Albania dà il “la” alla narrazione dell’inverso migrare del padre dalla natìa Valona verso gli ignoti lidi italiani.
Da lì prendiamo parte al viaggio con Aleksandros e i suoi genitori, ne condividiamo dolore, timori, speranze, in un crescendo senza requie che non può lasciare indifferenti. Merito di Memetaj, il cui incedere alterna senza affanni italiano, albanese e dialetto veneto, concedendo poco o nulla alla retorica. Ad orchestrare quest’ora di monologo è Giampiero Rappa, che permette al giovane interprete di calarsi pienamente nei linguaggi e nei ritmi del teatro di narrazione: Marco Paolini sarebbe contento di assistere ad una così riuscita riedizione del suo modus narrandi.
La messinscena si nutre di autenticità, imbevuta com’è delle sofferenze e delle speranze di chi l’ha scritta; ma non si ferma al racconto del reale, alla mera cronaca di un passato tormentato. Memetaj ci mette la poesia e la delicatezza di chi guarda con affetto ai personaggi di cui parla. Sembra di assistere ad un flusso di coscienza “sgorgato” impetuoso da ricordi sedimentati eppure ancora vivi, raffinato nella forma ma travolgente nella sua forza. Memetaj offre un pezzo della sua vita sul palco, immergendoci in migliaia (forse milioni) di storie che immaginiamo simili, taciute sotto la coltre di razzismo ed ignavia che permea la società europea da oltre un ventennio.
Antonio Indolfi
Teatro Elicantropo
Vico Gerolomini, 3, 80138 Napoli
contatti:3491925942 (mattina), 081296640 (pomeriggio) – promozionelicantropo@libero.it
Inizio spettacoli ore 21.00 (dal giovedì al sabato), ore 18.00 (domenica)