Giuseppe Moscati, il medico dei poveri
All’interno del Museo delle Arti Sanitarie e la Farmacia storica del Complesso degli Incurabili di Napoli, rivive l’esemplare storia del medico divenuto santo, a 90 anni dalla sua morte, con la visita teatralizzata a cura di Nartea.
Napoli è ricca di cultura, di arte e di persone che hanno lasciato una traccia nella storia, e la combinazione di una location meravigliosa con la vita di un personaggio storico ammirevole, porta alla realizzazione di un evento che ha molteplici aspetti interessanti.
L’associazione culturale Nartea ha costruito intorno ad un anniversario importante, i 90 anni dalla morte di Giuseppe Moscati il prossimo 12 aprile, la visita teatralizzata Giuseppe Moscati, Un Lampo nell’eterno presso il Complesso degli Incurabili, ospedale in cui il medico napoletano lavorò, sede anche del Museo della arti sanitarie e della antica Farmacia. La struttura, attualmente ancora sede operativa dell’ospedale, è un vero e proprio scrigno di reperti storici raccolti, conservati e catalogati per mostrare e ricordare l’importante ruolo della scuola napoletana nella storia della medicina e della farmacia, nonché di cimeli appartenuti al dottore santo. I giovani competenti e creativi di Nartea, in collaborazione con i medici dell’associazione culturale “Il Faro di Ippocrate” che curano le visite presso il complesso museale, hanno introdotto nel percorso espositivo tradizionale degli inserti teatrali, per il testo e regia di Febo Quercia, incentrati appunto sulle vicende del famoso medico.
Giuseppe Moscati, vissuto a Napoli tra il 1880 e il 1927, è stato un uomo illuminato, proclamato santo da Giovanni Paolo II nel 1987, che ha dedicato la sua vita all’esercizio della professione sia come medico privato che presso l’Ospedale degli Incurabili dove grazie alle sue indubbie competenze arrivò a dirigere l’Istituto di anatomia patologica. Avendo come unico scopo quello di curare i malati, rinuncia sia alla cattedra universitaria in Clinica Medica generale che alla sua vita privata facendo voto di castità. Ed è proprio l’incursione durante la visita delle sale del museo di una paziente, dal volto di Katia Tannoia – infatuata del giovane dottore che ardentemente cerca mentre confida agli spettatori-visitatori il turbinio di emozioni che per lui prova da quando è stata curato non solo il suo corpo ma anche la sua anima -, a mettere in luce la figura dell’uomo votato alla sua missione. Convinto come era che il dolore fosse «non come un guizzo o una contrazione muscolare, ma come il grido di un’anima, a cui un altro fratello, il medico, accorre con l’ardenza dell’amore, la carità».
La più incredibile e indiscussa capacità di Moscati, del resto, era proprio quella di riuscire a combinare in maniera naturale la figura di scienziato con quella di uomo religioso senza mai rendere poco credibile l’uno o l’altro aspetto. Egli sosteneva che «il progresso sta in una continua critica di quanto apprendemmo. Una sola scienza è incrollabile e incrollata, quella rivelata da Dio, la scienza dell’al di là! In tutte le vostre opere, mirate al Cielo, e all’eternità della vita e dell’anima, e vi orienterete allora molto diversamente da come vi suggerirebbero pure considerazioni umane, e la vostra attività sarà ispirata al bene». Questo suo modo di pensare e agire lo rendeva indubbiamente un diverso rispetto alla pletora di colleghi dell’Ospedale e proprio per questo motivo era criticato e spesso disprezzato da chi usava il camice come un titolo e un vanto. A rappresentare il clima e pensiero comune del tempo, Francesco Brancaccio, un collega del nostro, appartenente ad una famiglia di illustri medici, e per l’occasione impersonato da Raffaele Ausiello, che con un monologo in crescendo, sempre più pregno di enfasi, ci racconta delle intenzioni e difficoltà del suo essere medico diverso da Moscati.
Alla base del modo di essere medico del futuro santo, c’era la convinzione che «non la scienza, ma la carità ha trasformato il mondo», e per questo nel giornaliero e infaticabile esercizio della professione non mancava mai di dedicarsi ai più umili, prestando assistenza ai più poveri, non chiedendo mai un compenso ma anzi donando soldi e quant’altro per consentire una cura a chi non poteva permettersela. Il suo aspetto più intimo ci viene svelato dall’incontro nelle sale del museo con la sorella Nina, a cui dà corpo e voce Irene Grasso, in un accorato racconto della sua quotidianità in casa, quando alla fine del servizio ospedaliero si dedicava a tutti coloro che per ore affollavano la sala d’attesa pur di avere un suo consulto, ricevere un suo sorriso.
Infine, dopo esser stati guidati tra i vari ambienti dal dottor Gennaro Rispoli e un giovane aspirante medico con spiccate doti narrative, Mario Pizzuti, incontriamo nella sfarzosa sala di rappresentanza dell’antica farmacia proprio lui, Giuseppe Moscati, interpretato da Peppe Romano. Dopo le descrizioni di chi lo ha conosciuto, è lui stesso che ora si presenta, in modo diretto e autorevole, per indicarci quella che ritiene debba essere la condotta da seguire nella vita personale e professionale, proprio come accade ad una freccia che è in grado di raggiungere il traguardo seppur lontano e nascosto dalla nebbia, se scoccata con mano guidata da una piena e fiduciosa credenza in qualcosa.
E così, giunti al termine e arricchiti da quanto ulteriormente appreso, ancor di più diventiamo consapevoli che le incursioni teatrali itineranti rappresentano un interessante valore aggiunto per far (ri)vivere luoghi simbolo del patrimonio culturale di Napoli, consentendo le stesse non solo un approfondimento didascalico ma soprattutto il coinvolgimento dell’aspetto emotivo del pubblico partecipante, mentre il bagaglio di conoscenze ed esperienze di ciascuno, grato, si impreziosisce.
Irene Bonadies
Associazione culturale Nartea
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